Alleanze criminali
Maledetta guerra. Che accadrà ora sul fronte della guerra all’Isis in Siria e in Iraq? L’Ue, alle prese con la crisi dei migranti, e gli Usa hanno da tempo deciso di assegnare un ruolo risolutore della crisi a Turchia e Arabia saudita, i baluardi militari ed economici dei nostri interessi.
La messa a morte del leader sciita al-Nimr è una bomba contro il processo in atto in Medio Oriente e le coalizioni ufficialmente in campo contro lo Stato islamico.
Ma devastante come se non peggio dell’abbattimento in Siria dell’aereo russo da parte della Turchia. L’esecuzione, avvenuta con altre 46 persone, deflagra però non solo nel lontano Medio Oriente, ma in Occidente e qui in Italia. Occidente ed Italia fin qui silenziosi sul massacro in corso nello Yemen da parte dei bombardamenti aerei sauditi, taciturno sulle pene capitali emesse dallo stato più boia al mondo in percentuale rispetto al numero degli abitanti, strabico di fronte ad una dittatura feroce che opprime opposizioni e diritti umani. Eppure l’ultimo leader occidentale arrivato a omaggiare il regime medioevale dei Saud è stato proprio un mese e mezzo fa il «nostro» Matteo Renzi.
Si capisce per il «made in Italy», per la metropolitana che le imprese italiane stanno costruendo e, manco a dirlo, per i più sostanziosi traffici in armi di Finmeccanica in tutti i Paesi del Golfo. La petromonarchia dei Saud manda un messaggio di sangue al mondo, alla coalizione anti-Isis di nuovo conio (la stessa che da apprendista stregone ha attivato le forze jihadiste in tutta l’area, dalla Libia, all’Iraq alla Siria) e insieme al mondo sciita nemico giurato.
Vale a dire all’Iran, all’organizzazione libanese Hezbollah, al governo di Baghdad che combattono armi alla mano sul campo le forze del Califfato. A noi manda a dire che non sarebbe vero che Riyhad aiuta il terrorismo jihadista anzi lo condanna a morte: ma come dimenticare che proprio il regime dei Saud lo ha organizzato per anni in chiave di destabilizzazione dell’intera area. Ma al-Nimr, decapitato ieri, è responsabile solo di avere guidato, sull’onda delle tanto care quanto dimenticate Primavere arabe del 2011, la protesta democratica della minoranza sciita in Arabia saudita, repressa come quella in Barhein con violenza dall’esercito saudita, armato e addestrato dall’Occidente.
Che accadrà ora sul fronte della guerra all’Isis in Siria e in Iraq? L’Ue, alle prese con la crisi dei migranti, e gli Usa hanno da tempo deciso di assegnare un ruolo risolutore della crisi a Turchia e Arabia saudita, i baluardi militari ed economici dei nostri interessi. Pur sapendo che sono gli stessi Paesi che con il nostro aiuto hanno attivato la distruzione della Siria per fare a Damasco quello che è riuscito a Tripoli. Questi due Paesi sono ormai considerati decisivi per la riuscita del conflitto.
Ma con la provocazione dell’esecuzione del leader sciita al-Nimr appare sempre più chiaro – come scriveva ieri Gian Paolo Calchi Novati — il fatto che, anche di fronte ad una sconfitta parziale di Daesh — visti i mille nuovi rigagnoli del l’integralismo jihadista internazionale sempre più forte, denuncia lo stesso Pentagono, in aree come l’Afghanistan che dovrebbero essere bonificate dopo quattordici anni di intervento della Nato — che non c’è alcuna «vittoria» all’orizzonte. La guerra nell’area è destinata ad allargarsi. E stavolta non più solo per procura.
Il governo italiano, impegnato sia a sostenere Israele cancellando la questione palestinese, sia sul fronte delle guerre appaltate dagli Usa in Afghanistan, a Mosul in Iraq e prossimamente in Libia, esprimerà due righe di «alto» sdegno. Non romperà certo i rapporti diplomatici con Riyadh come sarebbe giusto se è la pace che si vuole conquistare.
E tutto continuerà come e peggio di prima.
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