La storia Etruria, le emissioni spericolate e gli allarmi sui bilanci nei «supplementi» ai prospetti
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Quando sono cominciati i guai della Popolare dell’Etruria e del Lazio? Il 17 febbraio 2012 può essere considerata una data-simbolo. Quel giorno l’istituto aretino comunicò di avere disdettato il contratto con l’agenzia Fitch per l’assegnazione del rating, ossia il giudizio sulla sua affidabilità finanziaria. Nella nota, Banca Etruria riconosceva che «l’attuale scenario di mercato non offre opportunità di accedere al funding sui mercati istituzionali». In sostanza, gli operatori specializzati — a cominciare dalle altre banche — non le prestavano più denaro.
Era un periodo complicato per l’Italia, in piena crisi del debito sovrano e con lo spread galoppante. Gli istituti riuscivano ad andare avanti grazie ai fondi Bce. L’Etruria era in queste condizioni. Ma evidentemente aveva qualche problema in più. Fu in questo contesto che maturò un piano di emissione di bond, compresi quelli subordinati, i più rischiosi perché parificati alle azioni in caso di fallimento. Una vendita al pubblico retail, a cominciare dalla sua stessa clientela. Le prime emissioni di bond risalgono al 2006 ma nel 2013 le vendite di titoli proseguirono, nonostante il deterioramento dei dati patrimoniali avrebbe forse dovuto sconsigliare gli amministratori di immettere sul mercato — sul «territorio» — titoli potenzialmente ad alto rischio.
Ma il patrimonio andava puntellato. Nel giugno 2013 la banca ideò un piano di rafforzamento che prevedeva un aumento di capitale da 100 milioni e altri interventi, tra cui appunto i bond subordinati.
Ma come gli investitori potevano conoscere lo stato di salute dell’istituto? In teoria era tutto scritto nei prospetti informativi, quelli che ogni investitore sarebbe tenuto a leggere prima di sottoscrivere. Solo che non c’erano soltanto i prospetti. C’erano soprattutto i supplementi, pubblicati poche settimane dopo i documenti di base, con i dati aggiornati — e peggiorati — sotto il profilo dei conti, dei crediti deteriorati, del capitale. Tutta carta approvata dalla Consob, con le novità e i rischi evidenziati in caratteri grandi e in grassetto, oggettivamente più visibili. E con tanto di avvertenza agli investitori: avete due giorni lavorativi per il diritto di recesso se avete «già concordato di acquistare o sottoscrivere» i bond e ora non li volete più.
Prendiamo uno dei bond ora azzerati con la risoluzione di Banca Etruria, quello da 60 milioni a scadenza 2018 a un tasso del 3,5%. Il prospetto di base è del 22 aprile 2013. Il 18 giugno arrivò un primo supplemento di 35 pagine, a dicembre ne sarebbe arrivato un altro di ben 85 pagine. Con quali fatti nuovi? A giugno spiccavano i rischi di credito, con i crediti deteriorati lordi saliti al 29%: ovvero quasi un debitore su tre aveva difficoltà a pagare, più del doppio della media del sistema. Compariva la notizia che l’ispezione di Banca d’Italia era su crediti e coperture; che il patrimonio si assottigliava pericolosamente.
A dicembre il quadro appariva drammatico: i crediti deteriorati toccavano quota 2,7 miliardi di euro (quasi il 32% del totale) e le sofferenze — anche in seguito alle svalutazioni imposte con l’ispezione della Vigilanza — erano al 103% del patrimonio. Numeri da allarme rosso. Bankitalia aveva anche imposto alla banca di fondersi, perché da sola non poteva stare in piedi.
Ma chi li ha davvero letti, i prospetti e soprattutto i supplementi, specialmente quando il bond era già stato comprato? E i dati aggiornati, rendevano o no più rischioso il bond o addirittura non adatto a tutti i risparmiatori, come riconosce anche il commissario Ue ai servizi finanziari, Jonathan Hill? Le situazioni sono diverse a seconda degli investitori. E non bisogna neanche trascurare che solo nella primavera 2014 la direttiva Ue ha introdotto il bail-in escludendo ogni aiuto di Stato senza avere prima caricato l’onere dei salvataggi su soci e creditori: una riforma che ha ampliato il rischio effettivo di quei bond. C’è sicuramente molta materia per avvocati e giudici. E prospetti e supplementi giocheranno un ruolo fondamentale. Il rischio di perdere tutto, comunque, era scritto.
Era un periodo complicato per l’Italia, in piena crisi del debito sovrano e con lo spread galoppante. Gli istituti riuscivano ad andare avanti grazie ai fondi Bce. L’Etruria era in queste condizioni. Ma evidentemente aveva qualche problema in più. Fu in questo contesto che maturò un piano di emissione di bond, compresi quelli subordinati, i più rischiosi perché parificati alle azioni in caso di fallimento. Una vendita al pubblico retail, a cominciare dalla sua stessa clientela. Le prime emissioni di bond risalgono al 2006 ma nel 2013 le vendite di titoli proseguirono, nonostante il deterioramento dei dati patrimoniali avrebbe forse dovuto sconsigliare gli amministratori di immettere sul mercato — sul «territorio» — titoli potenzialmente ad alto rischio.
Ma il patrimonio andava puntellato. Nel giugno 2013 la banca ideò un piano di rafforzamento che prevedeva un aumento di capitale da 100 milioni e altri interventi, tra cui appunto i bond subordinati.
Ma come gli investitori potevano conoscere lo stato di salute dell’istituto? In teoria era tutto scritto nei prospetti informativi, quelli che ogni investitore sarebbe tenuto a leggere prima di sottoscrivere. Solo che non c’erano soltanto i prospetti. C’erano soprattutto i supplementi, pubblicati poche settimane dopo i documenti di base, con i dati aggiornati — e peggiorati — sotto il profilo dei conti, dei crediti deteriorati, del capitale. Tutta carta approvata dalla Consob, con le novità e i rischi evidenziati in caratteri grandi e in grassetto, oggettivamente più visibili. E con tanto di avvertenza agli investitori: avete due giorni lavorativi per il diritto di recesso se avete «già concordato di acquistare o sottoscrivere» i bond e ora non li volete più.
Prendiamo uno dei bond ora azzerati con la risoluzione di Banca Etruria, quello da 60 milioni a scadenza 2018 a un tasso del 3,5%. Il prospetto di base è del 22 aprile 2013. Il 18 giugno arrivò un primo supplemento di 35 pagine, a dicembre ne sarebbe arrivato un altro di ben 85 pagine. Con quali fatti nuovi? A giugno spiccavano i rischi di credito, con i crediti deteriorati lordi saliti al 29%: ovvero quasi un debitore su tre aveva difficoltà a pagare, più del doppio della media del sistema. Compariva la notizia che l’ispezione di Banca d’Italia era su crediti e coperture; che il patrimonio si assottigliava pericolosamente.
A dicembre il quadro appariva drammatico: i crediti deteriorati toccavano quota 2,7 miliardi di euro (quasi il 32% del totale) e le sofferenze — anche in seguito alle svalutazioni imposte con l’ispezione della Vigilanza — erano al 103% del patrimonio. Numeri da allarme rosso. Bankitalia aveva anche imposto alla banca di fondersi, perché da sola non poteva stare in piedi.
Ma chi li ha davvero letti, i prospetti e soprattutto i supplementi, specialmente quando il bond era già stato comprato? E i dati aggiornati, rendevano o no più rischioso il bond o addirittura non adatto a tutti i risparmiatori, come riconosce anche il commissario Ue ai servizi finanziari, Jonathan Hill? Le situazioni sono diverse a seconda degli investitori. E non bisogna neanche trascurare che solo nella primavera 2014 la direttiva Ue ha introdotto il bail-in escludendo ogni aiuto di Stato senza avere prima caricato l’onere dei salvataggi su soci e creditori: una riforma che ha ampliato il rischio effettivo di quei bond. C’è sicuramente molta materia per avvocati e giudici. E prospetti e supplementi giocheranno un ruolo fondamentale. Il rischio di perdere tutto, comunque, era scritto.
Fabrizio Massaro
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