Corbyn spacca il Labour “No ai raid in Siria ma libertà di scelta per chi non è d’accordo”

Corbyn spacca il Labour “No ai raid in Siria ma libertà di scelta per chi non è d’accordo”

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LONDRA. Il voto del parlamento britannico sui bombardamenti in Siria, previsto per domani, rischiava di non riguardare più soltanto il modo migliore per sconfiggere l’Is ma di diventare un referendum sul futuro del Labour e di Jeremy Corbyn, eletto a sorpresa leader laburista neanche tre mesi fa, dopo trent’anni trascorsi a fare la “primula rossa” del partito. Corbyn e la maggioranza degli iscritti al Labour sono contrari ai bombardamenti. La maggior parte del “governo ombra” laburista e forse metà dei deputati del Labour sembrano invece favorevoli: così, dopo un lungo braccio di ferro, Corbyn ha deciso che i laburisti andranno alla spicciolata al voto.
Il leader ha condotto ieri una serie di incontri con la dirigenza del partito per decidere se dare ai parlamentari la libertà di votare «secondo coscienza», oppure richiedere che si adeguassero alla posizione espressa dalla leadership. Alla fine ha scelto la prima opzione, per evitare una netta spaccatura (comunque ha chiesto al governo due giorni di dibattito e il rinvio del voto, sostenendo che il suo partito resta contrario ai bombardamenti).
Ma ormai il Labour appare comunque diviso: ufficialmente si presenterà in aula con una posizione contraria. Quella di Corbyn e del 75% degli iscritti, secondo un sondaggio appena commissionato. Ma il leader non imporrà il suo no a tutti i deputati.
La questione Siria ha fatto emergere il dissenso nei confronti di Corbyn che covava dal primo momento in cui è stato eletto. Le indiscrezioni dicono che i ribelli preparano addirittura una mozione di sfiducia, per costringerlo a dimettersi. L’esito del voto sui bombardamenti potrebbe accelerare o ritardare la resa dei conti.
«Qualcuno non si è ancora messo in testa che il partito è su posizioni diverse rispetto al passato », ha detto Corbyn alla Bbc. Significato: il Labour non è più il partito di Blair, si è spostato radicalmente a sinistra con la netta vittoria di Corbyn nelle primarie di settembre ed è tornato ad essere un partito genuinamente socialdemocratico o socialista, a seconda dei punti di vista. Quindi ha aggiunto, alludendo alle voci di un golpe interno contro di lui: «Non me ne vado da nessuno parte».
Ancora più esplicito è Len McCluskey, segretario generale di Unite, il maggiore sindacato britannico: «I laburisti che osteggiano Corbyn scherzano con il fuoco».
Fra i laburisti che “scherzano con il fuoco” ci sono tuttavia esponenti di primo piano, per giunta non sospetti di nostalgia del blairismo, come Hillary Benn, ministro degli Esteri del governo ombra (figlio di Tony Benn, scomparso leader laburista, di cui lo stesso Corbyn si considera un discepolo), e Tom Watson, numero due del partito.
E un sondaggio di YouGov, pubblicato dal Guardian, avverte: Corbyn è impopolare in tutte le categorie demografiche, ha perso un terzo dell’elettorato tradizionale laburista, è «ineleggibile». Ossia non può riportare il Labour al potere. Ha con sé i giovani militanti, ma non la “pancia” del paese.
Il primo ministro David Cameron potrebbe avere i voti per vincere il voto sulla questione siriana anche senza un parziale sostegno del Labour, ma trattandosi in sostanza di dichiarare guerra (o meglio ampliarla: la Raf bombarda già l’Is in Iraq) vuole un ampio consenso, altrimenti niente bombardamenti in Siria.
Dal voto dipende dunque la guerra al Califfato. Ma pure il destino del partito laburista. O almeno di Corbyn.


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