Stoccolma, Copenaghen e Sarajevo linee del fronte dei foreign fighters
Statistica del terrorismo: l’unica matematica disponibile per capire la guerra di Daesh e quella dell’Occidente. Contiene l’identikit scientifico degli attentatori che massacrano Europa, Africa e Medio Oriente, e la carta d’identità aggiornata degli estremisti sunniti che rientrano a pieno titolo nell’album di famiglia.
E indica — soprattutto — che dopo Parigi e Bruxelles forse è meglio cominciare ad «attenzionare» Stoccolma, Copenhagen, Sarajevo e Tirana, perché che la linea del fronte passa proprio di lì. C’è da precisare, che queste liste di personaggi in viaggio dall’Europa alle zone di guerre non risultano, come abbiamo avuto modo di scoprire, propriamente sconosciute alle polizie europee.
È chiaro che in un determinato momento questi viaggi così semplici da un paese europeo a una zona di guerra sono stati monitorati, se non addirittura «sostenuti» dai servizi di intelligence che avevano la loro convenienza a utilizzare i foreign fighters. Venendo poi ai numeri, l’istogramma dell’Istituto Statista di Amburgo sugli «extimated foreign fighter pro capite» si rivela decisamente sintomatico. Mostra che subito dopo il verminaio del Belgio (40 «jihadisti» ogni milione di abitanti) ci sono quelli di Svezia (32) e Danimarca (27) ben più esposte della Francia (18) che pure è già in stato di guerra.
Di peggio solo il «cancro» nei Balcani con Bosnia-Erzegovina (92) Kosovo (83) e Albania (46) fucine conclamate e impossibili da liquidare. Gli analisti tedeschi hanno elaborato la provenienza dei volontari arruolati nella galassia dell’Isis, con i risultati tutt’altro che rassicuranti.
Cinquemila sono partiti dalla Tunisia, 2.275 dall’Arabia Saudita, altri 2.000 dalla Giordania, 1.700 dalla Russia e 1.550 dalla Francia. Si aggiungono ai 1.400 miliziani giunti dalla Turchia, altrettanti dal Marocco insieme ai 900 che si attivati dal Libano, ai 700 con il passaporto della Bundesrepublik tedesca e all’equivalente partiti dal Regno Unito. Una «marmellata» spaventosa, spalmata su una fetta dell’Europa troppo vasta per circoscrivere l’infezione. L’Istituto Statista rileva anche il numero esatto degli attentati e rivela i target di droni e caccia delle aviazioni di Usa, Russia, Francia, Giordania, Turchia. Nell’ultimo anno si sono registrati 3.370 attacchi in Iraq, 1.821 in Pakistan, 1.591 in Afghanistan, 763 in India, 662 in Nigeria e «appena» 232 in Siria. I morti nell’arco degli stessi dodici mesi hanno superato quota 32.000.
Una lista nera, proprio come l’analisi degli air-strike della coalizione che ha sganciato decine di migliaia bombe senza scalfire granché la capacità operativa dei terroristi. Il conto ufficiale a fine giugno 2015 risulta pari di 7.655 missioni di guerra, 1.859 posizioni nemiche distrutte, 2.045 edifici rasi al suolo, 472 accampamenti bombardati e 325 Health and usage monitoring systems per lo più made in Usa annientate.
Le tabelle con i dati Centom dimostrano anche e inequivocabilmente che senza l’embargo del petrolio agli Stati canaglia — nell’Opec come nel G20 — distruggere le pompe dell’oro nero serve a poco. Le infrastrutture danneggiate o messe fuori uso sono 154, un po’ più dei 98 carri armati annientati finora e molto meno degli altri 2.702 obiettivi non meglio classificati.
Le cifre statistiche sono altrettanto illuminanti, quando si focalizza l’attenzione sul numero delle vittime provocate dal terrorismo a livello planetario. Nel 2006, i morti erano 20.487 e l’anno successivo diventano 22.719. Ma poi scendono costantemente: dai 15.708 del 2008 fino agli 11.098 del 2012. È lì che si registra plasticamente la svolta dell’effetto terrorismo nel mondo, perché i morti salgono a 18.066 nel 2013 e addirittura a 32.727 durante l’anno scorso
Il gruppo decisamente protagonista era Al-Qaeda che in 14 attacchi in altrettanti paesi ha da solo provocato oltre 4 mila vittime. Dal punto di vista geografico, poi, le azioni del terrorismo si concentrano nel Medio Oriente e nella zona meridionale dell’Asia: nel 2011 numericamente il triplo rispetto a Europa, Africa, Asia orientale e zona del Pacifico.
Infine, una «curiosità» contabile che tuttavia appare come spia dell’effetto collaterale alle stragi. Il 24 aprile 1993 l’esplosione del furgone imbottito di esplosivo a Bishopgate nella City di Londra – «firmata» dall’Ira – provocò un morto e 44 feriti. I danni materiali ammontavano a 350 milioni di sterline, ma alla fine fu quasi un miliardo di dollari la somma dei risarcimenti pagati dalle assicurazioni.
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