Il passo senza ritorno di Parigi
Nella proposta di Hollande di modificare la Costituzione vediamo il dilemma storico delle democrazie sotto attacco. Come reagire senza negare la propria ragion d’essere? Hollande chiede di modificare la Costituzione con la previsione di uno stato d’emergenza.
La Costituzione francese già prevede che il Presidente della Repubblica possa assumere poteri straordinari (art. 16). Ma presuppone a tal fine una interruzione del funzionamento dei poteri costituzionali, che non c’è. Prevede anche la possibilità di uno stato di assedio (art. 36), definito in dettaglio dal Code de la défense, che però trasferisce poteri all’autorità militare. E dunque Hollande ritiene necessaria una ulteriore e diversa copertura costituzionale.
In realtà già è previsto in Francia anche uno stato di emergenza, con la legge n. 55–385 del 3 aprile 1955, e successive modificazioni. Dichiarato dal Consiglio dei ministri per 12 giorni, prorogabili con legge, attribuisce al ministro dell’interno e ai prefetti poteri amplissimi, tra cui chiudere temporaneamente luoghi di incontro, proibire assemblee e riunioni, autorizzare perquisizioni, vietare la circolazione o il soggiorno, controllare tutti i mezzi di informazione, stabilire coprifuoco, posti di blocco, controlli sulle persone in apposite «zone di protezione». La proposta di legge ora presentata (18 novembre 2015, n. 3225) cancella i soli controlli sull’informazione. Tutto il resto rimane, senza alleggerimenti. E si proroga di 3 mesi lo stato di emergenza dichiarato il 14 novembre, che scade il 26.
È un regime di drastici limiti a libertà e diritti. Cosa può ancora volere Hollande, oltre che puntare a un recupero di consensi? A una prima valutazione: intestare il potere direttamente a se stesso; consentire una più lunga durata; ulteriormente comprimere le garanzie individuali, ad esempio con la detenzione o altre limitazioni della libertà per lunghi periodi senza intervento del giudice; sottrarre i poteri — con l’inserimento in Costituzione — al controllo giudiziario, costituzionale e ordinario.
Si è detto che Hollande vuole il suo Patriot Act. In realtà, vuole di più. È l’inserimento in Costituzione che fa la differenza. Negli Stai uniti, il dibattito che ha fatto riconsiderare le leggi post-torri gemelle ha tratto alimento dalla contestazione, anche giudiziaria, della violazione delle garanzie costituzionali di diritti e libertà. I — pochi, e per un’opinione diffusa ancora insufficienti — limiti allo spionaggio di massa introdotti con il Freedom Act del 2 giugno 2015 avrebbero visto la luce in un contesto costituzionale modificato? E i 112 che l’American Civil Liberties Union ci dice ad ottobre 2015 ancora detenuti a Guantanamo, avrebbero miglior sorte se la Costituzione consentisse di mantenerli in cella senza processo? L’esempio americano ci dice che la Costituzione è importante perché non solo difende la persona, ma anche offre fondamento e ragioni al controllo sociale e alla formazione di un’opinione pubblica consapevole.
Hollande cita il rapporto della Commissione Balladur, istituita nel 2007 da Sarkozy. Ma la Commissione costituzionalizzava lo stato di emergenza nell’ambito di un equilibrio complessivo. Nelle conclusioni elencava tra le priorità adottate «émanciper le Parlement et lui reconnaître un rôle effectif de contrôle de l’action du Gouvernement; conférer et garantir des droits nouveaux aux citoyens». Dunque, rafforzare parlamento e diritti. Si prevedeva che lo stato di emergenza fosse in Costituzione solo menzionato, per essere poi disciplinato con legge organica.
Hollande coglie certo un punto quando non vede prossima la fine della minaccia terroristica. Il termine di 12 giorni attualmente previsto dalla legge 55–385 può essere breve. Ma perché non limitarsi a una legge che lo prolunghi, o introduca forme semplificate di proroga? Inoltre, è spesso emerso che i protagonisti di atti di terrorismo erano già noti agli apparati di sicurezza. Tale sembra essere oggi il caso, ad esempio, della cellula scoperta in Belgio, per la quale addirittura si sospettano scambi inconfessabili tra terroristi e apparati di sicurezza. Questo suggerisce che una migliore intelligence può valere molto più che una compressione generalizzata di diritti e libertà.
Oggi e nel futuro, una risposta al terrorismo la sinistra deve saperla dare, se non vuole essere travolta dalla richiesta popolare di sicurezza. Nessun appeasement, nessuna tolleranza, ma con punti fermi. Che sulle garanzie di libertà e diritti non si facciano passi indietro. Che i poteri di qualunque autorità non siano mai sottratti a limiti e controlli. Che in particolare il controllo di costituzionalità e quello giudiziario siano salvaguardati nell’ampiezza e nell’incisività. Che si perseguano politiche inclusive e dialogo interculturale con la comunità di fede islamica, per rafforzarne gli anticorpi contro il veleno del terrorismo.
Una sinistra deve ricordare che la Costituzione non è solo un regolamento di confini tra poteri, e tra individuo e autorità. È anche l’identità di un popolo e di un paese, in cui resta l’essenza della democrazia. Bisogna sempre diffidare delle modifiche sulla spinta dell’emergenza. Le reazioni che vediamo — inclusa quella di Hollande — vengono dal sangue di molti sparso a Parigi. Ma anche le Costituzioni possono venire dal sangue di molti. È il caso della Costituzione francese, e della nostra. Il sangue di oggi chiede risposte forti e univoche. Il sangue di ieri memoria e rispetto.
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