PARIGI. È UN PATRIOT act alla francese. Meno costrittivo di quello adottato negli Stati Uniti dopo l’11 settembre, ma nella sostanza abbastanza simile. Il socialista François Hollande insegue in queste ore (quasi) le tracce del conservatore Bush jr. Il confronto col terrorismo azzera le differenze. La strage parigina del 13 novembre ha condotto il presidente francese a ricalcare metodi adottati dopo la tragedia newyorchese delle Torri gemelle. Rivolgendosi al Congresso, dove si riuniscono per i grandi eventi, a Versailles, i due rami del Parlamento, ha assunto toni da capo di guerra. È stato asciutto, concreto. Ha avanzato la necessità di «far evolvere la Costituzione» della Quinta Repubblica. La situazione, a suo avviso, esige che lo Stato di emergenza, già in vigore, sia integrato nell’articolo 36 riguardante lo stato d’assedio. Quest’ultima è una misura estrema che trasferisce il potere all’autorità militare. Un aspetto al momento non d’attualità. Quella in corso non è infatti un conflitto convenzionale, non è materia per Stati maggiori.
Coinvolge soprattutto l’intelligence e in generale la polizia e i magistrati. E tuttavia è necessario uno strumento efficace per imporre, nel rispetto delle libertà repubblicane, misure eccezionali, attraverso i prefetti e le autorità di polizia, senza passare provvisoriamente attraverso le procedure giudiziarie troppo lente. Cosi le detenzioni amministrative saranno più facili e veloci, quindi più efficaci. I poteri dei magistrati saranno estesi nei casi di terrorismo. Le persone con la doppia nazionalità (come molti arabi) implicate o gravemente sospette potranno essere private di quella francese. Le espulsioni di cittadini stranieri indesiderabili saranno agevolate. Hollande ha chiesto al Parlamento di approvare al più presto, domani, anche una legge che prolunghi di tre mesi lo stato d’emergenza.
Il quale, benché ampliato con prerogative simili a quelle dello stato d’assedio, viene gestito dal potere politico e dai servizi che da esso dipendono. I militari non saranno però lasciati nelle caserme. Diecimila di loro saranno dispiegati nell’Ile de France con il compito di proteggere i possibili obiettivi dei terroristi. Alle forze armate non saranno ridotti i finanziamenti come previsto. E gli effettivi della polizia, della gendarmeria e della magistratura saranno aumentati di ottomila cinquecento unità. Il patto di stabilità imposto dall’Unione europea ne soffrirà. Ma la Francia ha bisogno di un patto di sicurezza. La contabilità nazionale passa in secondo piano.
Hollande era teso, la faccia segnata dalla stanchezza, quando è arrivato davanti al Parlamento riunito in seduta straordinaria. La prova chedoveva affrontare era doppia. Da un lato rassicurare il paese. dall’altro tentare di creare un’unione nazionale, vale a dire prevenire, rendere vane le critiche dell’opposizione. Nei drammi il presidente più impopolare della Quinta Repubblica assume una indubbia dignità. È veloce nelle decisioni. È presente nei luoghi colpiti. Si rivolge costantemente al paese con toni calmi. Nelle tragedie, come accadde in gennaio per Charlie Hebdo, cambia carattere. Di solito almeno in apparenza impacciato, acquista sicurezza. A Versailles ha esordito con un lapidario «siamo in guerra» e ha proseguito annunciando iniziative, che hanno tolto l’iniziativa alla destra, in particolare a quella estrema del Front National. Ha informato l’Assemblea di avere chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza per decidere un’azione internazionale contro Daesh. Che è «la più grande fabbrica di terroristi» ed è il nemico contro il quale la Francia intensificherà le operazioni. Già la notte scorsa dodici caccia bombardieri hanno colpito con venti missili il comando e i centri di addestramento di Daesh in Siria, con l’aiuto degli Stati Uniti che hanno indicato gli obiettivi. Inoltre nelle prossime ore la portaerei Charles de Gaulle salperà e una volta in Medio Oriente, consentirà di triplicare le incursioni aeree francesi.Prima della fine di novembre incontrerà Obama e Putin per cer- care di varare un’azione comune delle coalizioni che adesso operano indipendenti una dall’altra, e spesso puntando su obiettivi diversi. Gli aerei russi colpiscono di rado le basi di Daesh e si interessano agli altri gruppi ribelli, finora a quelli aiutati dagli americani. Lui, Hollande, si prodigherà per favorire la già avviata intesa tra Obama e Putin, dopo l’incontro al G20 in Turchia. In quanto all’Europa, chiede con solennità che i membri dell’Unione si dimostrino solidali con la Francia, citando la clausola 42.7 del Trattato. Le sue parole sono risuonate a Versailles come un appello.
Le misure di sicurezza destinate a combattere il terrorismo e a rassicure il paese avevano anche lo scopo di creare un’atmosfera favorevole a un’unione nazionale. Molti dei provvedimenti annunciati potevano essere condivisi anche dalla destra e dall’estrema destra. L’applauso intenso, prolungato di tutti i settori della platea versagliese (ad eccezione di due esponenti del Fronte nazionale), era un’ovazione rituale ma sentita in un momento difficile della nazione, in quel momento incarnata dal capo dello Stato. La Marsigliese poi cantata da deputati e senatori ha aggiunto un tocco patriottico necessario. Ma il consenso corale, anche se inevitabilmente passeggero, era dovuto anche alla meticolosità con cui François Hollande ha saputo raccogliere e riassumere le istanze della frastagliata società politica francese. Le critiche, a conclusione della seduta del Congresso di Versailles, non sono mancate. Marion Le Pen, nipote di Marine, presidente del Front National ha deplorato che Hollande non abbia condannato l’ideologia islamista dei terroristi. Ma sul delicato, sensibile argomento della religione, il presidente aveva abilmente sorvolato. Evitando soprattutto di soffermarsi sul problema dei migranti, provenienti dalla Siria, e destinati a ingrossare la presenza musulmana in Europa.
Tra breve ci saranno in Francia le elezioni regionali, le ultime prima di quelle presidenziali del 2017. Il trauma subito dal paese dovrebbe tradursi in un aumento dei voti islamofobi, attribuiti al Front National, nei sondaggi già saliti al trenta per cento nei mesi successivi all’assassinio dei giornalisti di Charlie Hebdo. L’ondata dei profughi e la simultanea strage di venerdì tredici novembre, pur non essendoci alcun nesso tra i due avvenimenti, possono contribuire a un’ulteriore crescita di quegli imbarazzanti voti virtuali destinati, non è escluso, a diventare reali. A Versailles François Hollande doveva garantire la sicurezza dei francesi e rassicurarli, e prevenire nei limiti della decenza, con un discorso civile e decoroso, una frana politica.