Parigi chiusa per guerra Nelle strade deserte i segni del massacro “Stato d’emergenza”

Parigi chiusa per guerra Nelle strade deserte i segni del massacro “Stato d’emergenza”

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PARIGI. Comincio con un’immagine insolita. Quella di una manciata di cinesi smarriti sugli Champs-Elysées, nella parte alta, dove c’è l’Arco di Trionfo. Sembrava una pattuglia asiatica stupita di trovarsi nel centro di una città triste, semivuota, grigia. Aveva l’aria di sentirsi truffata. La comitiva di Shanghai o di Pechino era convinta di arrivare nella metropoli delle luci e delle feste, e invece si scopriva in una Parigi immersa nella tragedia. In lutto. Sui larghi marciapiedi in discesa verso piazza della Concordia non c’era la folla fitta e cosmopolita del sabato sera, ma una sottile colonna di passanti che sfilava davanti a molti negozi con le vetrine spente o le saracinesche abbassate, e gli ingressi di tanti cinema sbarrati. E al di là della Concordia, dopo l’arco di Carrousel, il Louvre era chiuso. Ed erano chiusi anche i grandi magazzini, Lafayette e Printemps. La Tour Eiffel era spenta e con gli ascensori fermi, bloccate le vicine stazioni della metropolitane. Le terrazze dei caffè, riscaldate da stufe incandescenti, erano semivuote. Ed era un brutto segno, perché è grazie a quelle terrazze che diventa allegra una capitale cintata sui boulevards da facciate monotone. Tutte uguali. Chiuso il giardino delle Tuileries ed anche il Forum des Halles. Le strade attigue al Palazzo dell’Eliseo erano presidiate da poliziotti e gendarmi che filtravano il passaggio delle automobili e dei pedoni. Le pattuglie militari si erano moltiplicate. Il municipio di Parigi aveva deciso a sua volta di chiudere per la giornata biblioteche, piscine, palestre e mercati alimentari.
Insomma, una capitale “in guerra” come ha detto François Hollande venerdì notte, nel pieno del dramma, mentre i terroristi sparavano all’impazzata in almeno sei punti della città, seminando il terrore. Uccidendo 129 donne e uomini, e ferendone almeno trecento, molti dei quali in fin di vita o mutilati. «È un atto di guerra compiuto dall’esercito dell’Is. La Francia saprà essere spietata», ha aggiunto qualche ora dopo il capo dell’Eliseo.
Il presidente non riesce sempre ad essere autorevole, come piacerebbe ai francesi, ma sa assumere toni paterni quando è necessario. Lo “stato d’urgenza” che ha decretato è una misura seria, adottata in situazioni gravi per la nazione la guerra d’Algeria o l’insurrezione delle banlieues). Aumenta il potere dei prefetti e della polizia, ma non ha la gravità dello stato d’assedio, che è la misura più alta nel repertorio dell’emergenza. Lo “stato di urgenza”, accompagnato dall’invito rivolto ai parigini di non affollare i luoghi pubblici, e di non riversarsi nelle strade senza una ragione, è stato accolto come un’iniziativa rassicurante, destinata a rafforzare i consigli alla prudenza del presidente. Ma ha creato al tempo stesso un clima somigliante a quello adottato in un paese appunto in guerra. Una guerra asimmetrica, come sono in gran parte quelle in corso oggi nel mondo, vale a dire un conflitto tra uno Stato legittimo, operante con forze armate convenzionali, e un avversario che attacca o si difende con mezzi irregolari, ed è senza legittimità per le istituzioni intenazionali. È il confronto tra Daesh (acronimo di Stato islamico) e la Francia. In Afghanistan, e prima ancora in Algeria e in certe fasi della guerra in Vietnam, e ancora in Iraq dopo Saddam e adesso in Siria, quel tipo di guerra è ormai “normale”. Per la Francia è invece insolita. Ed è quindi tale l’esperienza che i cittadini della Quinta Repubblica stanno vivendo. Gli episodi terroristici precedenti, a Londra o a Madrid, o nella stessa Parigi, erano attentati più che confronti armati. Venerdì notte è accaduto qualcosa di diverso per la Francia e per l’Europa.
In più punti della capitale, alcuni kamikaze si sono uccisi, facendo esplodere i giubbotti pieni di esplosivo di cui erano muniti, dopo avere compiuto assalti a mano armata. E avere quindi sfidato le forze dell’ordine di uno Stato sovrano. È un vero percorso di guerra che i terroristi hanno tracciato. Lo Stadio di Francia, alle 21,20, dove si giocava una partita di calcio tra Francia e Germania, alla presenza del presidente della Repubblica, è stata la prima tappa. Là, fallito il tentativo di raggiungere gli spalti affollati, i terroristi si uccidono con le cinture esplosive. Se fossero riusciti a entrare nello stadio e crearvi il panico ci potevano essere migliaia di vittime. Dopo il loro fallimento l’azione prosegue con altri uomini in rue Bichat, poi in rue Fontaine au Roi, al caffé Bonne Bière, uccidendo 17 persone. Al momento della strage nessuno sa ancora quanti gruppi di jihadisti stanno percorrendo la città. In boulevard Voltaire un terrorista si suicida con l’esplosivo senza una ragione apparente e senza fare vittime. Poco prima delle due, mentre noi cronisti cerchiamo ancora di ricostruire la tragedia in corso, all’angolo tra rue Charonne e rue Faidherbe, si accende una sparatoria davanti al ristorante La Belle Equipe, non lontano dall’abitazione del primo ministro, Manuel Valls. In pochi secondi, sotto le raffiche di mitra di un uomo sceso da un’automobile, vengono uccise 19 persone e ferite decine di altre. Nessuno capisce perché sia stato preso di mira quel ristorante. Forse perché era affollato ed è capitato sotto tiro casualmente del terrorista lungo il percorso che non aveva una meta precisa. Mentre poliziotti e pompieri soccorrono i feriti e contano i morti stesi sul selciato, un’altra sparatoria si accende in boulevard Voltaire, non lontano da place de la République e della vecchia redazione di Charlie Hebdo. Quattro jihadisti entrano nel Bataclan dove circa millecinquecento spettatori ascoltano il gruppo rock californiano Eagles and Death Metal. E aprono il fuoco nel mezzo di una canzone, gridando: «Noi vi facciamo quel che fate in Siria». I morti al Bataclan saranno più di ottanta.
I terroristi, che a loro volta saranno uccisi, hanno motivato il massacro, come poi sarà precisato nella rivendicazione di Daesh: la Francia ci bombarda in Siria e noi uccidiamo e uccideremo i francesi. È una dichiarazione di guerra, di una guerra asimmetrica. Il modo in cui è avvenuto il massacro non ha precedenti né in Francia né in Europa. I terroristi non si sono limitati a far esplodere qualche bomba (bombole di gas piene di bulloni)o hanno eliminato chi per loro ha insultato Maometto. Il commando jihadista si è scatenato per ore nella metropoli. Aveva probabilmente già scelto i principali obiettivi, lo Stadio e il Bataclan, ma era soprattutto la Parigi vulnerabile del venerdì sera che voleva colpire, per rispondere alle incursioni sulle basi di Daesh in Siria. Per questo François Hollande ha parlato di guerra, e Parigi traumatizzata, prudente e dignitosa si adegua in queste ore alla situazione. Che il resto dell’Europa non può ignorare.


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