Già a poche ore dall’arresto era apparso chiaro che l’inchiesta presentava dei buchi, ma ciò non era stato sufficiente a evitare che Touil finisse additato come l’ennesimo mostro da sbattere in prima pagina.A scagionare il ventiduenne tunisino erano le testimonianze che lo davano in Italia nei giorni dell’attentato e il fatto che chiunque lo conoscesse era pronto a giurare che non avesse nulla a che fare con il terrorismo islamico. Touil aveva spiegato ai giudici di essere stato a lezione d’italiano in una scuola per stranieri di Gaggiano, il paese del milanese in cui vivono i suoi familiari, il 16 e il 19 marzo, giorni precedenti e seguenti l’attentato, e la sua versione è stata poi confermata da testimonianze, dai registri della scuola e dagli stessi insegnanti.
Il giorno della strage, aveva affermato inoltre dal carcere facendo sapere di non essere un jihadista, era con sua madre davanti alla tv per guardare le notizie e le immagini di quello che stava accadendo nel suo Paese.
Gli inquirenti dell’altra sponda del Mediterraneo erano invece partiti dall’individuazione di una scheda telefonica effettivamente acquistata e attivata dal ragazzo a Tunisi lo scorso 3 febbraio, giorno in cui era arrivato dal Marocco, e da alcuni contatti tra l’utenza di Touil e quella di alcuni personaggi legati al commando jihadista, nonché da un presunto «riconoscimento fotografico» che avrebbe dovuto costituire la prova del nove della sua colpevolezza.
Ma le indagini condotte dalla Digos e dai Ros hanno scagionato completamente Touil: il giovane avrebbe telefonato a una persona poi finita nell’inchiesta tunisina, durante il viaggio dalla Tunisia alla Libia, solo perché questa era uno scafista e lui stava cercando di arrivare in Italia. Le verifiche degli inquirenti hanno ribaltato l’ipotesi accusatoria formulata da Tunisi e hanno dato ragione al ragazzo, appurando che, dallo scorso 17 febbraio, quando è sbarcato a Porto Empedocle in Sicilia, non si è mai mosso dall’Italia.
Nei mesi precedenti e successivi all’attentato non si è mai mosso da Gaggiano (dove sarà poi arrestato il 20 maggio) e questo mette in dubbio il presunto «riconoscimento fotografico» del giovane, da parte della polizia tunisina, sul luogo dell’attentato. La scheda acquistata da Touil rimarrà muta invece fino all’8 marzo, quando ricomparirà e rimarrà fissa a Medenine, una città della Tunisia sudorientale, caricata su un altro cellulare. L’ipotesi è che gli sia stata requisita prima dell’imbarco assieme al passaporto, come lui stesso aveva sostenuto durante l’interrogatorio.
Per questi motivi il procuratore ha chiesto l’archiviazione del caso e la Corte d’Appello ha disposto la scarcerazione immediata. I giudici hanno detto no anche alla richiesta di estradizione, perché «i fatti più gravi contestati all’estradando (terrorismo internazionale e strage, ndr) sono puniti dal codice penale tunisino con la pena di morte» e «la convenzione bilaterale di estradizione Tunisia-Italia non prevede alcun meccanismo di conversione della pena di morte in altra sanzione detentiva», motivazione che lascia presumere che il giovane in ogni caso non sarebbe stato estradato.
Accompagnato in Questura, a Touil è stata notificata l’espulsione dall’Italia perché senza permesso di soggiorno ed è stato trasferito nel Cie di Torino, passando da una forma di detenzione a un’altra. Ora rischia di essere rimandato indietro, nonostante la sua famiglia viva in Italia, aggiungendo al danno pure la beffa. Il senatore del Pd Luigi Manconi ha annunciato un’interrogazione parlamentare sul caso e il suo avvocato ha anticipato che Touil, sulla base del rischio che in Tunisia potrebbe essere condannato alla pena capitale, chiederà asilo politico in Italia.