Il piano di Obama: soldati in Siria e Iraq
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WASHINGTON La Casa Bianca cambia ancora. Con la concorrenza russa nella regione e il duello con i cinesi, Barack Obama deve reagire e rilancia l’iniziativa contro l’Isis con le forze americane di fatto in prima linea. Il segretario alla Difesa Ashton Carter, intervenendo al Congresso, ha indicato la strategia delle «tre R». Raqqa, in Siria; Ramadi, in Iraq; raid aerei e di unità scelte. Una mossa che verrà deliberata ufficialmente entro qualche giorno.
Dopo lunghe discussioni, è stato deciso di accantonare per ora la creazione di una zona di sicurezza. In alternativa ci sarà un maggiore numero di incursioni, i bombardamenti saranno più pesanti e sarà aumentato il numero di velivoli. Caccia che agiranno dalle basi del Golfo, dalla Turchia e probabilmente anche dall’alleato di ferro, la Giordania. Nel mirino degli strikes , oltre ai reparti dello Stato Islamico, i quadri e i capi del movimento, insieme alla strutture petrolifere, così vitali per il budget del Califfo. Missioni che comportano problemi non solo sul piano militare: più si spara e più c’è il pericolo di coinvolgere vittime innocenti.
L’altro aspetto è quello delle Special Forces. Il presidente Usa è sempre contrario ad un ruolo combattente, però dovrà cedere qualcosa ai militari che, pur contrari a infilarsi in nuove avventure, chiedono dispositivi adeguati. Gli Stati Uniti invieranno piccole unità in Siria per sostenere l’alleanza composta dai curdi Ypg e da circa 5 mila insorti siriani. Lo schieramento che ha ricevuto circa 50 tonnellate di armi paracadutate da cargo statunitensi. Con questa «lancia» Washington punterà sulla roccaforte dell’Isis a Raqqa. Oggi gli insorti sono ad alcune decine di miglia, ma la cittadina è ben difesa da mujaheddin molto addestrati. Inoltre gli osservatori dubitano della tenuta del patto tra curdi e arabi. A questo si aggiunge l’ostilità della Turchia. Due giorni fa Ankara ha aperto il fuoco sui curdi che hanno attraversato verso ovest l’Eufrate, limite geografico e linea rossa tracciata da Erdogan.
In Iraq, invece, gli americani intendono inserire i loro uomini a livello di brigata, al fianco dell’esercito locale. Soldati che dovranno aiutare i governativi a riprendere Ramadi. Un ruolo di supporto, coordinamento che si somma al compito di guidare da terra i raid della coalizione. È evidente che in questo modo saranno molto vicini alla zona degli scontri. Facile che possano essere coinvolti in un fronte dove i jihadisti sono altamente mobili e tendono a colpire il nemico con ondate di veicoli-bomba guidati dai kamikaze. Che piaccia o meno, sono i famosi «scarponi sul terreno». Con tutto quello che ne consegue.
Un timore di perdite che contagia anche il baldanzoso Putin, molto attento a coprire le sue. Ieri è stata confermata la morte di un tecnico dell’aviazione, Vadim Kostenko, in servizio nella base siriana di Latakia. Le fonti ufficiali hanno parlato di «suicidio per motivi sentimentali», versione respinta in modo netto dalla famiglia: non ci crediamo. Sullo sfondo le mosse diplomatiche, con contatti e colloqui, compreso l’invito all’Iran a partecipare alle discussioni in corso. È la prima volta.
Guido Olimpio
Dopo lunghe discussioni, è stato deciso di accantonare per ora la creazione di una zona di sicurezza. In alternativa ci sarà un maggiore numero di incursioni, i bombardamenti saranno più pesanti e sarà aumentato il numero di velivoli. Caccia che agiranno dalle basi del Golfo, dalla Turchia e probabilmente anche dall’alleato di ferro, la Giordania. Nel mirino degli strikes , oltre ai reparti dello Stato Islamico, i quadri e i capi del movimento, insieme alla strutture petrolifere, così vitali per il budget del Califfo. Missioni che comportano problemi non solo sul piano militare: più si spara e più c’è il pericolo di coinvolgere vittime innocenti.
L’altro aspetto è quello delle Special Forces. Il presidente Usa è sempre contrario ad un ruolo combattente, però dovrà cedere qualcosa ai militari che, pur contrari a infilarsi in nuove avventure, chiedono dispositivi adeguati. Gli Stati Uniti invieranno piccole unità in Siria per sostenere l’alleanza composta dai curdi Ypg e da circa 5 mila insorti siriani. Lo schieramento che ha ricevuto circa 50 tonnellate di armi paracadutate da cargo statunitensi. Con questa «lancia» Washington punterà sulla roccaforte dell’Isis a Raqqa. Oggi gli insorti sono ad alcune decine di miglia, ma la cittadina è ben difesa da mujaheddin molto addestrati. Inoltre gli osservatori dubitano della tenuta del patto tra curdi e arabi. A questo si aggiunge l’ostilità della Turchia. Due giorni fa Ankara ha aperto il fuoco sui curdi che hanno attraversato verso ovest l’Eufrate, limite geografico e linea rossa tracciata da Erdogan.
In Iraq, invece, gli americani intendono inserire i loro uomini a livello di brigata, al fianco dell’esercito locale. Soldati che dovranno aiutare i governativi a riprendere Ramadi. Un ruolo di supporto, coordinamento che si somma al compito di guidare da terra i raid della coalizione. È evidente che in questo modo saranno molto vicini alla zona degli scontri. Facile che possano essere coinvolti in un fronte dove i jihadisti sono altamente mobili e tendono a colpire il nemico con ondate di veicoli-bomba guidati dai kamikaze. Che piaccia o meno, sono i famosi «scarponi sul terreno». Con tutto quello che ne consegue.
Un timore di perdite che contagia anche il baldanzoso Putin, molto attento a coprire le sue. Ieri è stata confermata la morte di un tecnico dell’aviazione, Vadim Kostenko, in servizio nella base siriana di Latakia. Le fonti ufficiali hanno parlato di «suicidio per motivi sentimentali», versione respinta in modo netto dalla famiglia: non ci crediamo. Sullo sfondo le mosse diplomatiche, con contatti e colloqui, compreso l’invito all’Iran a partecipare alle discussioni in corso. È la prima volta.
Guido Olimpio
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