BRUXELLES . Dopo essere stata messa in amministrazione controllata per la gestione dell’economia e dei conti pubblici, la Grecia rischia di finire sotto tutela europea anche per la manifesta incapacità di far fronte all’onda anomala dei rifugiati che arrivano sulle sue coste dalla Turchia. Mentre la Polonia andava alle urne per sancire una vittoria delle destre, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha convocato ieri a Bruxelles un mini-vertice straordinario dei capi di governo dei Paesi che si trovano sulla rotta balcanica seguita dai profughi. Obiettivo: cercare di arginare un fenomeno che minaccia di consegnare ai partiti populisti e xenofobi i governi di mezza Europa. «Se falliamo in questo compito, le forze nazionaliste e di destra avranno gioco facile nel dire che l’Europa ha fallito », ha avvertito il cancelliere austriaco Werner Faymann. La Commissione europea ha messo sedici proposte concrete sul tavolo del vertice, cui hanno partecipato dieci premier di Paesi Ue (Germania, Olanda, Lussemburgo, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Grecia), e tre dei Paesi di transito extra Ue (Serbia, Macedonia e Albania). Lo scopo è duplice: da una parte fare pressione sulla Grecia, punto di ingresso della rotta balcanica, perché eserciti un serio controllo alle proprie frontiere e non si limiti a traghettare i profughi in arrivo verso i Paesi europei confinanti; dall’altra convincere i governi dei Balcani a non erigere muri per deviare il flusso a danno dei vicini e a offrire condizioni vivibili ai rifugiati durante il lungo inverno che è ormai alle porte. «Nei Balcani non si può ragionare solo in una prospettiva nazionale. Occorre mettere in opera soluzioni europee», ha spiegato il premier lussemburghese Asselborn, presidente di turno della Ue.
Ma l’accordo non è facile. Immediatamente, tra i partecipanti, è emersa una contrapposizione tra i Paesi che puntano il dito contro la Grecia, accusata di non esercitare nessun controllo sulle proprie frontiere e anzi di facilitare il passaggio dei profughi senza registrali e controllarli, e il premier Tsipras che denuncia l’egoismo nazionalista dei suoi vicini settentrionali. «Se la Grecia non è in grado di difendere le sue frontiere, suggerisco di andare là a difenderle noi. L’ho già detto molte volte, ma nessuno ci ha ascoltato », ha denunciato il premier ungherese di ultra-destra Viktor Orban. E lo stesso presidente di turno lussemburghese ha riconosciuto che «il Paese che più ha bisogno dell’aiuto Ue è la Grecia. Non possono farcela da soli, devono anche accettare il nostro aiuto». La Ue ha offerto di mandare 400 guardie di frontiera per aiutare Atene. Ma è chiaro che questo implicherebbe l’impegno dei greci a registrare i profughi in arrivo e a bloccare almeno quelli che non hanno manifestamente diritto all’asilo. «Per ora non c’è accordo sul documento », ha detto il premier bulgaro Boyko Borissov in una pausa del negoziato, aggiungendo di essere «preoccupato» per la trattativa in corso.
Tsipras, da parte sua, ha avuto gioco facile nel rimpallare la responsabilità sulla Turchia. «La Turchia non è stata invitata, quindi oggi la discussione sarà solo tra i Paesi che fanno parte del corridoio balcanico. Ma tutti sappiamo che questo ha un ingresso e l’ingresso è la Turchia. Sfortunatamente fino ad oggi è stato difficile trovare una soluzione perché una serie di paesi hanno adottato l’approccio “non nel mio giardino”».
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ILSALVATAGGIO
Una barca di migranti è affondata a largo dell’isola greca di Lesbo a causa del maltempo: nell’incidente sono morti una donna e due bambini, mentre altre 48 persone sono state salvate. Fra di loro il piccolo Mohammad: le immagini del bambino, raccolto in mare da una barca di pescatori turchi che tentano di rianimarlo sono diventate virali su Internet. Dopo averlo spinto a sputare l’acqua che aveva nei polmoni, i pescatori consegnano il bambino alla Guardia costiera che li ha raggiunti. A Smirne l’abbraccio con la famiglia che temeva di averlo perso per sempre