AAA com­mis­sa­rio renziano cercasi

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Sul Tevere. Marino formalizza le dimissioni alla presidente dell’assemblea capitolina. E firma la costituzione di parte civile in Mafia capitale. Si apre ora la complicata partita tutta politica della governance commissariale che guiderà Roma fino alle prossime elezioni e condizionerà la scelta del candidato sindaco

Da una parte l’«amarezza» del sin­daco Igna­zio Marino che ieri ha for­ma­liz­zato le dimis­sioni, con­se­gnan­dole nelle mani della pre­si­dente dell’assemblea capi­to­lina Vale­ria Baglio, mal­grado molti di quei suoi sup­por­ter che il giorno prima ave­vano riem­pito piazza del Cam­pi­do­glio siano tor­nati in mat­ti­nata davanti al Naza­reno per gri­dare al premier/segretario che «uno non votato da nes­suno non dovrebbe per­met­tersi di sca­ri­care un sin­daco eletto» e per bru­ciare, in alcuni casi, le tes­sere del Pd.

Dall’altra, il com­pli­cato rom­pi­capo della gover­nance com­mis­sa­riale capi­to­lina che tra venti giorni, quando cioè le dimis­sioni di Marino saranno effet­tive e non più revo­ca­bili, dovrà por­tare la Capi­tale fino alle pros­sime ele­zioni, che a bocce ferme dovreb­bero tenersi a maggio.

Dun­que, come scrive Ste­fano Fas­sina nel suo blog, «la sta­gione Marino si è chiusa. In modo ingiu­sto, ma si è chiusa», con il sin­daco «sfi­du­ciato non dai cit­ta­dini, ma da Mat­teo Renzi». Il quale ai romani ha rac­co­man­dato di fare «bene atten­zione» a come sce­glie­ranno il pros­simo can­di­dato sin­daco alle pri­ma­rie. E sem­brava più una minac­cia di repli­care la deca­pi­ta­zione appena andata in scena, che un mite consiglio.

Il sin­daco dimis­sio­na­rio — che ha rice­vuto una tele­fo­nata di soli­da­rietà dal gover­na­tore del Lazio, Nicola Zin­ga­retti — ieri ha lavo­rato ai «prov­ve­di­menti più impor­tanti e urgenti» per­ché, spiega in una nota, «la crisi poli­tica in atto non influi­sca sull’andamento delle atti­vità della Città metro­po­li­tana». Per prima cosa ha siglato l’atto di costi­tu­zione di parte civile del Comune nel pro­ce­di­mento penale che ini­zierà il 20 otto­bre con­tro cin­que impu­tati dell’inchiesta Mafia capi­tale, tra cui l’ex diret­tore gene­rale dell’Ama, Gio­vanni Fiscon. Sarà l’unica tran­che del mega pro­cesso (che ini­zia il 5 novem­bre) a cui potrà pre­sen­ziare con la fascia tri­co­lore. Altre firme Marino le ha poi messe su tre ordi­nanze per l’avvio di altret­tante opere giu­bi­lari con una spesa com­ples­siva di 10 milioni; ha discusso con il vice­sin­daco della Città metro­po­li­tana, Mauro Ales­san­dri, e il dele­gato alla pia­ni­fi­ca­zione ter­ri­to­riale e al bilan­cio, Gianni Paris, delle opere pub­bli­che che rien­trano nella pro­gram­ma­zione di bilan­cio 2016–2018, degli inter­venti sulla mobi­lità da met­tere in campo subito e dei 38 plessi sco­la­stici da costruire quest’anno. Punto. Tutto il resto avviene fuori Palazzo Senatorio.

E sarà pur vero che «Roma è una città che sta in piedi da oltre due­mila anni» (come risponde sprez­zante il pre­fetto Franco Gabrielli a chi gli chiede quanto caos può pre­ve­dere nella com­bi­na­zione Giubileo/campagna elet­to­rale), ma c’è chi sta ten­tando l’impossibile. L’ultima con­tro­prova potrebbe arri­vare con l’incastro tutto poli­tico che sta impe­gnando più del pre­vi­sto gli uffici di via 4 Novem­bre, in con­ti­nuo con­tatto con Palazzo Chigi, nella scelta della com­mis­sione pre­fet­ti­zia che dal 2 novem­bre in poi, con l’Anno santo ai bloc­chi di par­tenza, gover­nerà Roma per i suc­ces­sivi tre mesi. Per poi pas­sare il testi­mone ad un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio, pro­po­sto dal mini­stro degli Interni al capo dello Stato, che con ogni pro­ba­bi­lità sarà anche il can­di­dato sin­daco dei renziani.

Le ipo­tesi sul tavolo sono molte, ma i can­di­dati kami­kaze per l’operazione più rischiosa d’Italia non si tro­vano pro­prio die­tro l’angolo. In più, la par­tita si gio­cherà anche nel campo delle unioni civili, desti­nate a moneta di scam­bio tra Pd e Ncd. Il primo «no gra­zie» per il ruolo di com­mis­sa­rio straor­di­na­rio — che il Pd vor­rebbe attri­buire a colui che gui­derà la com­mis­sione pre­fet­ti­zia ma le oppo­si­zioni pro­te­stano per­ché «si tratta di una figura super par­tes» — è arri­vato pro­prio da colui che sem­brava incar­nare il “sin­daco della nazione”: Raf­fele Can­tone, pre­si­dente dell’Anac. L’altro papa­bile, l’assessore comu­nale alla Lega­lità, Alfonso Sabella, invece sem­bra più pos­si­bi­li­sta e ha già avviato le pro­ce­dure per rien­trare in magi­stra­tura (una delle con­di­zioni neces­sa­rie per essere nomi­nato), anche se poi rife­ri­sce di non aver ancora rice­vuto la pro­po­sta «da nes­suno». Nel toto­nomi c’è quello del pre­fetto Mario Mor­cone, dell’ex coman­dante gene­rale dei cara­bi­nieri Leo­nardo Gal­li­telli e per­fino quello — impor­tante per leg­gere gli ultimi avve­ni­menti — di Andrea Ric­cardi, ex mini­stro e fon­da­tore della Comu­nità di Sant’Egidio.

Della com­mis­sione pre­fet­ti­zia, invece, dovreb­bero far parte anche cin­que o sei sub-commissari: «Un uomo solo non può gestire Roma, la mac­china ammi­ni­stra­tiva è troppo dete­rio­rata», spiega Sabella, che pro­pone di nomi­nare, oltre alla squa­dra scelta da Gabrielli, «tutti o molti degli attuali 14 pre­si­denti dei muni­cipi», esclu­dendo Ostia che è già com­mis­sa­riata, in modo da costruire una rete su tutta la città metropolitana.

E se la patata bol­lente salta di mano in mano, e il rischio caos aumenta, la via più sem­plice è rin­viare le ele­zioni. Sem­bra che il premier/segretario ci stia facendo un pen­sie­rino. Tanto che il pre­si­dente dei Radi­cali ita­liani, Ric­cardo Magi, avverte: «La Capi­tale d’Italia è ostag­gio del Pd. E in nome della ragione di par­tito ora forse si ten­terà per­fino di rin­viare le ele­zioni, con la scusa del Giu­bi­leo: uno sce­na­rio ai limiti dell’eversivo».



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