Lo sviluppo sostenibile degli obiettivi dell’Onu
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Nell’assemblea generale dell’Onu che celebra a New York i 70 anni dalla sua costituzione i capi di Stato e di governo dei 193 Paesi membri concordano i nuovi scopi globali di sviluppo sostenibile ( Sustainable Development Goals ) dell’umanità e del pianeta. Si tratta di 17 scopi generali, interconnessi e indivisibili, che richiedono soluzioni integrate e che si articolano in 169 obiettivi specifici da realizzare entro il 2030 (dall’eliminazione della povertà al diritto alla salute e all’istruzione, dall’eguaglianza di genere all’accesso universale al cibo, all’acqua e all’energia, dalla riduzione delle diseguaglianze alla lotta al cambiamento climatico). Si tratta di una mera dichiarazione di buoni propositi che non produrrà risultati concreti o di un documento di rilevanza epocale? Una via di mezzo. Il documento non manca infatti di rilevanti aspetti positivi, ma molte sono anche le carenze e le criticità. Incominciamo dai primi.
I Sustainable development goals odierni migliorano decisamente i Millennium development goals sottoscritti nel 2000; prendono atto della loro realizzazione assai parziale (progressi reali sono stati fatti nella riduzione della mortalità infantile e nell’istruzione delle donne, o in singoli Paesi come l’Etiopia, ma in altri campi la situazione non è sostanzialmente migliorata) e affrontano decisamente questioni prima trascurate, come il degrado ambientale, le diseguaglianze tra ed entro le nazioni, i modelli di consumo non sostenibile e la debolezza della capacità istituzionale. Inoltre, in una fase storica segnata da crisi finanziaria e recessione economica, degrado ambientale e conflitti geopolitici, violazione di diritti umani e politici e ripresa di chiusure nazionalistiche, è importante al di là della retorica riaffermare il nostro comune destino sulla terra (la povertà riguarda tutti anche i benestanti, l’ignoranza riguarda tutti anche gli istruiti), una visione e obiettivi condivisi, una reale volontà di collaborazione per eliminare «povertà, fame, malattia e bisogno senza lasciare nessuno indietro».
Si ribadisce la necessità di monitorare i processi di trasformazione con adeguati indicatori. Si afferma una volontà inclusiva, coinvolgendo in un partenariato globale governi e parlamenti, autorità locali e istituzioni internazionali, il settore privato e delle imprese, la società civile, le università, il volontariato e riconoscendo un ruolo chiave alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione.
Quali sono però le criticità? Come ha ben rilevato la Review of targets for the SDGs scritta dai due consigli di rappresentanza delle associazioni scientifiche internazionali (International Council of Science e International Social Science Council), più dei due terzi dei 169 obiettivi richiederebbero di essere meglio specificati e quantificati per consentire un monitoraggio delle azioni intraprese, si dovrebbe tener conto degli obiettivi in conflitto (ad esempio, un accresciuto uso del territorio per combattere la fame può comportare una perdita di biodiversità) e delle conseguenze inattese, si dovrebbe affrontare seriamente la complessa questione dell’attendibilità e comparabilità dei dati e della adeguatezza degli indicatori. Si fa riferimento alla scienza per formulare con metodo rigoroso obiettivi realistici, asseverare i progressi compiuti, sperimentare soluzioni e identificare rischi e opportunità emergenti, ma si finge di ignorare che in molti Paesi la scienza non è autonoma dal potere politico ed economico. Si afferma l’esigenza del partenariato globale ma il ruolo dei governi nazionali è ancora nettamente predominante (gli obiettivi sono applicabili universalmente, ma devono rispettare le priorità politiche nazionali). Ciò è probabilmente inevitabile in un mondo di Stati nazionali, ma se vogliamo evitare che un piano tanto ambizioso sia calato selettivamente dall’alto, dobbiamo fare ognuno la nostra parte con comportamenti quotidiani e scelte di vita autenticamente sostenibili.
Alberto Martinelli, * Presidente dell’International Social Science Council
I Sustainable development goals odierni migliorano decisamente i Millennium development goals sottoscritti nel 2000; prendono atto della loro realizzazione assai parziale (progressi reali sono stati fatti nella riduzione della mortalità infantile e nell’istruzione delle donne, o in singoli Paesi come l’Etiopia, ma in altri campi la situazione non è sostanzialmente migliorata) e affrontano decisamente questioni prima trascurate, come il degrado ambientale, le diseguaglianze tra ed entro le nazioni, i modelli di consumo non sostenibile e la debolezza della capacità istituzionale. Inoltre, in una fase storica segnata da crisi finanziaria e recessione economica, degrado ambientale e conflitti geopolitici, violazione di diritti umani e politici e ripresa di chiusure nazionalistiche, è importante al di là della retorica riaffermare il nostro comune destino sulla terra (la povertà riguarda tutti anche i benestanti, l’ignoranza riguarda tutti anche gli istruiti), una visione e obiettivi condivisi, una reale volontà di collaborazione per eliminare «povertà, fame, malattia e bisogno senza lasciare nessuno indietro».
Si ribadisce la necessità di monitorare i processi di trasformazione con adeguati indicatori. Si afferma una volontà inclusiva, coinvolgendo in un partenariato globale governi e parlamenti, autorità locali e istituzioni internazionali, il settore privato e delle imprese, la società civile, le università, il volontariato e riconoscendo un ruolo chiave alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione.
Quali sono però le criticità? Come ha ben rilevato la Review of targets for the SDGs scritta dai due consigli di rappresentanza delle associazioni scientifiche internazionali (International Council of Science e International Social Science Council), più dei due terzi dei 169 obiettivi richiederebbero di essere meglio specificati e quantificati per consentire un monitoraggio delle azioni intraprese, si dovrebbe tener conto degli obiettivi in conflitto (ad esempio, un accresciuto uso del territorio per combattere la fame può comportare una perdita di biodiversità) e delle conseguenze inattese, si dovrebbe affrontare seriamente la complessa questione dell’attendibilità e comparabilità dei dati e della adeguatezza degli indicatori. Si fa riferimento alla scienza per formulare con metodo rigoroso obiettivi realistici, asseverare i progressi compiuti, sperimentare soluzioni e identificare rischi e opportunità emergenti, ma si finge di ignorare che in molti Paesi la scienza non è autonoma dal potere politico ed economico. Si afferma l’esigenza del partenariato globale ma il ruolo dei governi nazionali è ancora nettamente predominante (gli obiettivi sono applicabili universalmente, ma devono rispettare le priorità politiche nazionali). Ciò è probabilmente inevitabile in un mondo di Stati nazionali, ma se vogliamo evitare che un piano tanto ambizioso sia calato selettivamente dall’alto, dobbiamo fare ognuno la nostra parte con comportamenti quotidiani e scelte di vita autenticamente sostenibili.
Alberto Martinelli, * Presidente dell’International Social Science Council
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