Da Bush a Trump i candidati con la pistola solo Hillary anti lobby (ma sa sparare)

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All’indomani della strage di Roseburg, repubblicani e democratici restano fedeli alle loro posizioni. Solo “il socialista” Sanders corregge il tiro
NEW YORK. «Cose che capitano». Con un’alzata di spalle, Jeb Bush aveva liquidato così l’ipotesi di una legge che regoli la vendita delle armi. Una battuta infelice, pronunciata durante un comizio in Carolina del Sud davanti a un pubblico che non ama le limitazioni, a poche ore dalla strage nel college in Oregon compiuta da Chris Harper Marcer (suicidatosi dopo il massacro, ha rivelato ieri la polizia). Tanto è bastato perché arrivasse la velenosa replica di chi la vendita delle armi vuole limitarla sul serio, il presidente Obama. «Penso che il popolo americano sia in grado di fare una valutazione sul fatto che ogni due mesi abbiamo una strage e decidere se si tratta solo di cose che capitano». Quelle parole hanno fatto il giro di social e tv e Jeb Bush si è dovuto affrettare a precisare (anche se nessuno ci crede) che non stava parlando dell’Oregon.
Con la strage di Roseburg il tema ” controllo delle armi” è entrato di prepotenza nel dibattito elettorale, con tutti i candidati alla Casa Bianca pronti a parlarne ma ben fermi sulle proprie posizioni. Se Obama con il suo “appello alla nazione” («ormai è una routine, le attuali leggi non sono sufficienti, basta preghiere, è ora di agire») sperava di agitare le acque, si è dovuto disilludere. La maggioranza degli americani (e l’elettorato repubblicano di più) considera sacro il Secondo emendamento della Costituzione che sancisce il diritto a possedere armi. Così i candidati del Grand Old Party hanno fatto a gara a rassicurare i propri fan. Da Donald Trump, per il momento ben ancorato in testa ai sondaggi («quanto successo è orribile, ma si tratta di malati di mente, il controllo delle armi non ha nulla a che fare con le sparatorie») a Carly Fiorina, l’ex ad di Hewlett-Packard che lo segue nelle preferenze, secondo cui nuove leggi «non servono affatto, dovremmo semmai far funzionare meglio quelle che già ci sono».
Posizioni comuni, con impercettibili differenze, anche fra gli altri candidati del Gop. Jeb Bush (gaffe a parte) ripete il suo mantra («la Florida è pro-armi e lì la violenza è diminuita: ci sarà un motivo»)mentre Marco Rubio è sulla stessa lunghezza d’onda («non ci sono prove che legano la vendita di armi alle stragi»)e l’afroamericano Ben Carson si dilunga in analisi sociologiche per arrivare alla stessa conclusione («il controllo delle armi funziona solo per i cittadini normali, non per i pazzi»).
Posizioni diverse in campo democratico. Hillary Clinton — a cui il padre insegnò a sparare — riprende le parole di Obama («non dobbiamo fermarci alle preghiere, è ora di agire») mentre il candidato “socialista” Bernie Sanders, beniamino dei giovani e dei liberal del partito, prova a correggere il tiro. Le armi sono il suo tallone d’Achille, perché nello stato montano del Vermont dov’è senatore (benché nato a Brooklyn, New York) le armi sono molto popolari e in passato ha più volte votato come i colleghi repubblicani. Una posizione che, nel caso dovesse riuscire nella mission impossible di battere la Clinton alle primarie, potrebbe tornargli utile con l’elettorato conservatore.


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