Najia frequenta il terzo anno di una scuola materna nelle periferia est della Capitale. È nata a Roma da genitori marocchini. Ha quattro anni e mezzo e tra pochi mesi potrebbe festeggiare il suo compleanno con un regalo davvero inaspettato: il passaporto tricolore. Ma tutto dipende dai parlamentari italiani, che in questi giorni si trovano tra le mani la riforma della cittadinanza.
Come Najia, sono tanti i figli di immigrati pronti a stracciare il permesso di soggiorno. È la carica dei “nuovi italiani”: quasi 800mila potenziali beneficiari delle nuove norme. Non solo. L’introduzione dello “ius soli soft” consentirà anche la naturalizzazione di oltre 50mila ragazzi migranti ogni anno.
A tracciare i confini della riforma attualmente in discussione alla Camera sono i ricercatori della Fondazione Leone Moressa. Partiamo dai dati Istat: al 1 gennaio 2015, i minori stranieri in Italia sono circa un milione, ovvero un quinto della popolazione immigrata complessiva. Si tratta in maggioranza di ragazzi nati in Italia, che frequentano le scuole del nostro Paese.
La riforma promette di rivoluzionare le loro vite. Due le strade per ottenere la nuova cittadinanza: nascere in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno residente da cinque anni e titolare di permesso Ue di lungo periodo, oppure per i nati all’estero frequentare un ciclo scolastico di almeno 5 anni. Chi potrà allora approfittarne?
Il calcolo della Moressa è preciso: «Considerando che circa il 65% delle madri straniere risiede nel nostro Paese da più di cinque anni, si stima che i figli di genitori immigrati con questi requisiti siano 600.730». A loro vanno aggiunti «i 177.525 alunni nati all’estero che hanno già completato 5 anni di scuola in Italia». Non solo. Ci sono anche i beneficiari futuri dell’eventuale riforma: ogni anno potrebbero mettersi in tasca il passaporto tricolore 45-50mila bambini nati in Italia da genitori residenti da oltre 5 anni e 10-12mila ragazzini nati all’estero che abbiano concluso un ciclo scolastico quinquennale.
Secondo i ricercatori della Moressa, insomma, «saranno poco meno di 800mila i potenziali beneficiari della riforma della cittadinanza. L’introduzione dello “ius soli soft” consentirà inoltre la naturalizzazione di oltre 50mila nuovi italiani ogni anno, sommando i figli di immigrati nati in Italia e i nati all’estero che completano un quinquennio di scuola. La riforma riconoscerà dunque la cittadinanza a quasi l’80 per cento dei minori stranieri residenti nel nostro paese».
Non manca il risvolto negativo: i nuovi paletti, che nella riforma limitano uno “ius soli ” puro, terranno fuori dalla porta oltre 200mila bambini stranieri che vivono stabilmente nel nostro Paese. Ma visto da dove partiamo, i ricercatori della Moressa promuovono le nuove norme: «Nel nostro Paese — si legge nello studio — non è prevista l’applicazione dello “ius soli ”, ovvero l’acquisizione della cittadinanza al momento della nascita. I figli di immigrati sono considerati stranieri, anche se nati in Italia, fino al compimento del 18esimo anno di età. A quel punto, hanno un anno di tempo per presentare la richiesta, dimostrando di aver risieduto in Italia dalla nascita senza interruzioni. Francia, Germania e Gran Bretagna presentano uno “ius soli ” quasi automatico. Oltre l’Italia, solo Austria e Danimarca non prevedono questo meccanismo».
Infine non è da sottovalutare l’aspetto economico: la riforma conviene. «L’acquisizione della cittadinanza — scrivono i ricercatori della Moressa — costa attualmente in media 200 euro a persona. Ipotizzando che questa tassa rimanga tale anche per i beneficiari della nuova riforma, i quasi 800mila nuovi italiani porteranno alle casse dello Stato un tesoretto di 160 milioni di euro, a cui vanno aggiunti circa 10-12 milioni l’anno per i beneficiari futuri».
Non sono d’accordo, tanti ragazzi stranieri nati in Italia con genitori stranieri residenti da 5 anni, non sono assimilati alla cultura italiana. La scuola non forma italiani da un bel pezzo, i coetanei italiani sono meno italianizzati, degli italiani di 50 anni fa! E’ una catastrofe culturale. Maledetti governi!