Quando si parla di «start up» si parla di freelance, e non di imprenditori individuali. Che differenza c’è? I primi mettono il lavoro, i secondi i capitali (se li hanno). Quanti sono i freelance negli Usa? I contrattisti indipendenti e quelli temporanei – i «precari» – sono rispettivamente 19,3 milioni e 4,6; i professionisti dipendenti 13,2, chi lavora già e fa il freelance nel tempo libero 4,6, i piccoli imprenditori (2,5). Il totale fa 57 milioni di persone. Di questa nuova composizione del lavoro intermittente e precario, il «quinto stato» non organizzabile dai sindacati tradizionali e non riducibile all’impresa novecentesca, la Freelancers Union è l’espressione più avanzata al mondo. Ha creato un nuovo modello mutalistico che crea «community» tra i freelance; offre una copertura assicurativa su base mutualistica dai rischi di malattia o infortunio a chi è escluso dai Welfare tradizionale; ha creato una propria compagnia assicurativa che assicura convenzioni con i dentisti, ad esempio; offre consulenza fiscale e tutela altri aspetti della vita indipendente sulle tariffe da applicare; crea un argine alla piaga del lavoro oggi: i mancati pagamenti o i loro ritardi.
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Sergio Bologna: Freelance nella Sharing Economy: La nuova forza-lavoro è il futuro
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In questi giorni la FU è impegnata in una battaglia contro il lavoro gratuito. Con le sue grafiche aggressive, che mescolano l’iconografia del movimento operaio intrecciata alla pop-art ha attaccato i muri e la metropolitana di New York. Nella Grande Mela ci sono 1,3 milioni di freelance, impiegati nell’industria del lavoro cognitivo e in quella dei serivizi. La campagna è vibrante: il lavoro dev’essere pagato, «essere freelance non è gratis» spiega il fotografo freelance, l’avvocato in cerca di ingaggio, il designer in cerca di ispirazione, e poi il consulente, l’insegnante di yoga nell’Upper West Side, l’infermiere, gli attori e i tecnici del cinema o del teatro sulla 42esima. Il 21 settembre scorso una rappresentanza di 100 freelance è stata ricevuto da Eric Adams, presidente del City Council di Brooklin, a dimostrazione del crescente interesse riscosso dalla nuova «work force» per le istituzioni. «Più del 77% dei freelance di New York sostengono di non essere stati pagati negli ultimi 30 giorni e perdono 6400 dollari all’anno –afferma Sarah Horowitz – Quando non si pagano le persone, è una profonda offesa morale, oltre che un danno economico». Sarah ci spiega anche a cosa serve la FU in questi casi: «Agire sul City Council per ottenere una legge che permetta di creare un contratto per i freelance e un risarcimento nel caso in cui non siano pagati per oltre 30 giorni». Visto dall’Italia sembra ancora fantascienza, ma questo è il modello per organizzare i «non organizzabili».
Per avere un’idea dell’impatto del lavoro indipendente sull’economia più avanzata del pianeta bisogna studiare i numeri del secondo rapporto nazionale sui «Freelance in America» pubblicato ieri dalla FU in collaborazione con Upwork, la piattaforma più grande al mondo per offerte di lavoro a freelance. Oggi un lavoratore attivo su tre negli Usa è «freelance»: il 34%. Su 157 milioni di lavoratori (dati Bureau of Labor Statistics’), 53,7 milioni di persone hanno lavorato in maniera indipendente nel 2014. Ciò che è ancora più interessante è la crescita dell’occupazione: in un solo anno, calcola il rapporto, ben 700 mila persone sono diventate «indipendenti». È l’aumento più alto della storia recente, dovuto alla crescita registrata negli Usa nello stesso anno e in particolare alla «sharing economy»: Uber, Etsy o Airnb. La maggioranza (60%) ha lasciato il lavoro dipendente. Il 78% sostiene di avere registrato un aumento del reddito nell’ultimo anno e crede che il ciclo positivo durerà anche il prossimo. L’83% dei nati fra il 1981 e il 1997, i cosiddetti «millennials» vedono un futuro nel lavoro da freelance.
È la percentuale più alta, dopo quella dei «Baby boomers», i nati tra il 1945 e il 1964. Tra i «Moonlighters», i professionisti occupati a tempo pieno, si allarga il numero di coloro che lascerebbero l’attuale occupazione per diventare indipendenti. Il «nuovo approccio al lavoro e alla vita» di cui i freelance sarebbero per Sarah Horowitz i pionieri consiste in un atteggiamento attivo: quello di chi crea un proprio mercato, individua una nicchia e si inserisce. Diverso è l’approccio di chi lavora con lo smartphone per Uber o Amazon: il mercato lo crea l’azienda che li ingaggia e li impiega da dipendenti anche se sono a tutti gli effetti freelance. La differenza è sostanziale: i primi lavorano in autonomia, i secondi sono «parasubordinati» e potrebbero essere assunti, come sta accadendo nella classe action degli autisti Uber alla corte federale di San Francisco. In entrambi i casi, lo scenario è lo stesso: negli Usa il mercato del lavoro cresce grazie ai freelance che cercano un’identità comune partendo dal mutuo-aiuto, organizzandosi in class action o riprendendo le vecchie istituzioni del movimento operaio del XIX secolo. Il futuro viene da lontano.