Ieri pomeriggio l’Acea, l’associazione dei costruttori di automobili europei, non ha voluto entrare nel merito di una vicenda che coinvolge il suo principale associato. Ma ha voluto ricordare che con la nuova normativa Euro6 «presto si richiederà per la prima volta che i test delle emissioni non vengano fatti in laboratorio ma in tutte le condizioni di guida». Ciò che, pare di capire, eviterebbe il rischio di far scattare il software che riconosce il test dal fatto che l’auto si trova sui rulli e che il volante non viene toccato. E proprio ieri da Wolfsburg è giunta la rassicurazione che sui nuovi modelli con motore diesel Euro 6 il software incriminato non è stato montato e che dunque si tratta di veicoli sicuri.
I concorrenti di Volkswagen si guardano bene dal cantare vittoria. Un po’ perché il clamoroso scivolone del numero uno europeo ha finito per deprimere pesantemente i titoli di tutti: Fca ha perso ieri il 6,21, Peugeot l’8,76, Renault il 7,12, Mercedes il 7,02. La seconda ragione che suggerisce prudenza è che lo scandalo ha finito per riaccendere i riflettori sulla questione delle emissioni inquinanti e finirà inevitabilmente per rinfocolare la polemica tra Bruxelles e i costruttori sui limiti imposti dall’Ue. Per anni le case costruttrici hanno chiesto che l’Europa fosse più larga di manica. Soprattutto perché le case tedesche, produttrici di auto di cilindrata medio-alta rischiavano di pagare a caro prezzo le nuove norme. Contro il tentativo tedesco di alzare i limiti intervenne due anni fa l’allora ministro dell’ambiente Andrea Orlando. Oggi le norme europee sono assi più rigide di quelle degli Usa e questo spiega perché lo scandalo è globale: non avrebbe avuto senso inventare un software che abbassa le emissioni negli Usa, dove i limiti sono più alti, e non in Europa dove sono più severi. In America Gm, Toyota e Chrysler si sono affrettate a dire che sui loro veicoli «non ci sono apparecchiature irregolari». Dunque niente sotware truffaldino. Ma la vera domanda è ormai quella su chi uscirà vincitore da questo terremoto. Diversi analisti si sono affrettati nelle prime ore dello scandalo a dare per morta la scommessa sul diesel pulito. E’ infatti probabile che lo scandalo finisca per accelerare le due strade oggi più gettonate per abbattere pesantemente le emissioni: l’ibrido e il full electric. Nell’ibrido Toyota è certamente stata il battistrada anche se diversi altri costruttori l’hanno seguia. L’elettrico totale è invece la scommessa di brand come Audi (gruppo Volkswagen) che al recente Salone di Francoforte ha promesso ulteriori accelerazioni: «Pensiamo di presentare già nel 2018 un modello totalmente elettrico », ha annunciato Luca De Meo. Una possibilità subordinata alla installazione di colonnine di nuova generazione sulle autostrade tedesche. Colonnine in grado di abbattere notevolmente il tempo di ricarica e di renderlo compatibile con le normali esigenze di viaggio. Per queste ragioni i costruttori sono prudenti. Perché non tutti sono immediatamente pronti al cambiamento e il salto della fase del diesel di ultima generazione potrebbe finire per spiazzare diverse case. Paradossalmente potrebbe proprio essere la divisione elettrica del gruppo di Wolfsburg ad avvantaggiarsi nel dopo crisi. Ma dovrà superare la montagna di sfiducia che oggi incombe sul gruppo e dovrà mantenere gli investimenti nonostante la batosta economica che si abbatterà sui conti, tra maxi multa e minori vendite.