“Siamo in salvo ma non perdono la giornalista dello sgambetto ”

“Siamo in salvo ma non perdono la giornalista dello sgambetto ”

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ECCOLI in salvo. Osama e Zeid ce l’hanno fatta: lo sgambetto maligno di Petra Laszlo, la cameraman ungherese che li ha fatti inciampare e cadere rovinosamente mentre tentavano di fuggire dai controlli della polizia ungherese, non è riuscito ad arrestare la loro lunga marcia verso la Germania. Da ieri sono a Monaco di Baviera, e “non è stato un viaggio facile”, dicono all’ Huffington Post riemergendo da un silenzio che durava da giorni preoccupando il resto della famiglia, rimasta in Turchia con il batticuore.
Accanto a Osama e Zeid adesso c’è Muhammad, il figlio 17enne che era partito per primo, otto mesi fa, prendendo il barcone degli scafisti verso le coste italiane, e raggiungendo poi la Germania. Si scattano un selfie sorridendo, ma è l’amarezza la nota di fondo nelle parole di Osama. Petra ha chiesto scusa? Lui non dimentica: «Ha fatto cadere il mio bimbo e lui ha pianto per due ore, non posso perdonarla — dice — e non mi basta che l’abbiano licenziata ». Ora cerca un buon avvocato. Perché la sua partita con il destino non è finita, e il suo sogno non è coronato affatto: «Lo sgambetto che mi ha fatto nel tentativo di fermare me e mio figlio ci ha impedito di sfuggire alla polizia di confine ungherese. Ci ha fatti cadere e siamo stati arrestati, così ci hanno preso le impronte digitali in Ungheria». Il rischio, adesso, si chiama Trattato di Dublino: dove vieni identificato dovrai rivendicare il diritto di asilo, e lì dovrai rimanere. La loro permanenza in Germania è a rischio, e dipende dalla possibilità che Berlino sospenda l’applicazione del trattato.
«Avevamo una vita normale, prima che scoppiasse la guerra in Siria. Per un po’ siamo rimasti a osservare la situazione, ma quando è precipitata siamo fuggiti in Turchia», racconta. Era la fine del 2012. All’inizio di settembre Osama e suo figlio hanno preso il gommone a Bodrum e sono partiti per la Grecia. Alla frontiera ungherese sono arrivati il 9 settembre: era mattina, «il tempo era pessimo e faceva un gran freddo. La situazione era confusa, non c’era un minimo di organizzazione. Era il caos, e intanto moltissimi rifugiati continuavano a raggiungere la frontiera con gli autobus». È allora che hanno deciso di partire. Troppo freddo, niente da mangiare: era ora di provarci. Osama e il bimbo passano la frontiera e finiscono in un gruppo enorme di migranti che comincia a ondeggiare e a forzare le linee della polizia.
«Abbiamo cominciato a correre, mio figlio Zeid correva accanto a me ma a un certo punto un agente di polizia ungherese lo ha sgambettato e lo ha fatto cadere. Quando l’ho visto per terra l’ho preso in braccio e ho continuato a correre, ma dopo dieci metri mi hanno fatto lo sgambetto di nuovo. Non mi sono neanche accorto di chi avessi dietro, non ho capito che era stata quella cameraman bionda».
Ancora una volta Osama ha ripreso in braccio il bimbo e si è messo a correre, ma la fuga è durata poco: un altro agente li ha bloccati, arrestando Osama e portandolo nel centro di preidentificazione: un «campo di concentramento » in cui i rifugiati vengono trattati «in modo disumano». Del video con il suo ruzzolone, che ha fatto il giro del mondo, non sapeva nulla: «Me lo ha mostrato un giovane a Monaco e mio figlio è caduto nel panico: aveva paura che ci avrebbero arrestati di nuovo ».


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