“Questa emergenza durerà per 20 anni” i piani del Pentagono

“Questa emergenza durerà per 20 anni” i piani del Pentagono

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NEW YORK. La massa di profughi che arrivano in Europa mette in allarme perfino il Pentagono. Per i vertici militari americani “è un emergenza che durerà 20 anni”. Rappresenta un pericolo per la stessa sicurezza degli alleati europei. La minaccia ha più dimensioni. E’ il numero uno delle forze armate Usa a tracciarne un elenco: «Rafforzamento di partiti estremisti nei governi del Patto atlantico. I rifugiati come possibile area di reclutamento per estremismo violento, via via che si sfascia tra loro ogni legame familiare, sociale, e i giovani sono privati di istruzione». Spaventano sia il degrado sociale, sia le spinte centrifughe e fanatiche nella politica europea. La conclusione: «Stabilità e pace sul continente sono minacciate, le nostre azioni non sono all’altezza della minaccia».
La diagnosi e l’allerta hanno fatto sobbalzare molti, in America e in Europa. Perché a pronunciare questi giudizi è il generale Martin Dempsey, Joint Chiefs of Staff, la più alta carica militare negli Stati Uniti. Nel corso di un’intervista alla tv Abc , il generale ha rivelato che la crisi dei profughi «è stato il tema dominante nelle ultime riunioni ai vertici militari degli Stati Uniti e della Nato ». Dempsey la definisce «una crisi seria, in cima alle mie preoccupazioni ». Facendo un bilancio del proprio mandato alla guida del Pentagono dice che «quella dei rifugiati è stata la novità più grossa». In un passaggio dell’intervista si spinge fino ad evocare la possibilità di un intervento della Nato. Lo fa in maniera cauta e indiretta, tracciando un paragone tra due foto, due tragedie: ricorda l’impatto che ebbero nel 1995 le immagini di una strage al mercato di Sarajevo, per far scattare i bombardamenti Nato in Serbia; e l’emozione suscitata dalla foto del bambino siriano di tre anni, morto annegato, steso a pancia in giù su una spiaggia della Turchia. “Ricordo che allora – dice Dempsey rievocando la strage di vent’anni fa – tutti ci fermammo a pensare a Sarajevo”.
Il capo delle forze armate Usa cita dati Onu: “Ci sono 60 milioni di rifugiati nel mondo e continuano a crescere al ritmo di 42.500 famiglie in più ogni giorno”. Con un’analisi oltre la sfera puramente militare, invita a «misurare le conseguenze della distruzione di legami familiari, un problema con cui i leader del futuro dovranno fare i conti per molti decenni, un problema che si proietta su intere generazioni, per il quale dobbiamo attrezzarci con risorse adeguate su un orizzonte di almeno vent’anni ».
L’intervista è il culmine di una serie di segnali. Dietro c’è una mole di analisi e una raccolta di intelligence che giustifica l’allarme americano. Il 18 agosto, in missione in una base Nato in Irlanda, sempre Dempsey aveva sottolineato «gli effetti drammatici della crisi dei profughi sulla politica interna di tutti i paesi europei, l’ascesa di estremismi». Aveva concluso: «Non so dove tutto questo andrà a finire. E quando non riesco a fare previsioni devo preoccuparmi. Stabilità e pace sul continente sono in gioco».
L’analisi di Dempsey sposta l’attenzione dal piano puramente militare. E’ stato osservato infatti che gli Stati Uniti spendono 68.000 dollari all’ora ogni volta che uno dei loro jet si alza in volo per colpire le forze dello Stato Islamico in Siria, mentre l’Onu ha ricevuto meno della metà del denaro promesso per assistere i profughi siriani nelle nazioni limitrofe.
In parallelo con l’allarme del Pentagono, la questione dei profughi si fa strada nel dibattito politico americano. Il senatore Dick Durbin, democratico dell’Illinois, in una lettera a Barack Obama scrive: «Gli Stati Uniti hanno l’obbligo morale di assistere i paesi che accolgono profughi dalla Siria. Abbiamo anche un interesse di sicurezza nazionale a mantenere la stabilità in quella regione. In un momento delicato per le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo dobbiamo offrire accoglienza a più rifugiati siriani ». L’International Rescue Committee ha chiesto che gli Stati Uniti accettino sul proprio territorio almeno 65.000 siriani. L’Amministrazione Obama ha indicato che sta esaminando una scappatoia giuridica per aggirare la complessità delle procedure sull’asilo politico. Si tratterebbe di usare la “ parole ”, una clausola di emergenza che consente di dare sostegno umanitario d’urgenza a cittadini stranieri che per le vie normali finirebbero su liste d’attesa troppo lunghe. Il portavoce di Obama, Josh Earnet, ha dichiarato però che «al momento non ci sono novità da annunciare su questo fronte».
Il dibattito sull’asilo politico è esploso anche nel vicino Canada dopo la morte del bambino siriano di 3 anni, visto che alcuni suoi parenti immigrati in Canada fecero di tutto per ottenergli un permesso di asilo regolare che gli avrebbe risparmiato la mortale traversata in mare.
Si teme un rafforzamento dei partiti estremisti nei governi del Patto atlantico Vanno misurati gli effetti della distruzione dei legami familiari e della mancanza di istruzione


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