Dagli stadi ai treni la rivincita a sorpresa della solidarietà

Dagli stadi ai treni la rivincita a sorpresa della solidarietà

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LA fotografia che colpisce di più è quella della curva di uno stadio tedesco che espone lo striscione: «Benvenuti profughi ». Abituati come siamo a leggere su quello sfondo nefandezze verso chiunque (neri, orientati a sud, variamente diversi) non può che stupirci la catena che ha portato a quell’immagine: qualcuno ha l’idea, un gruppo gliela approva a maggioranza, la si mette in pratica e dall’altra curva non volano sfottò, stracci, proiettili. Che poi la principale squadra della Bundesliga (il Bayern di Monaco di Alaba, austriaco di padre nigeriano e Boateng, tedesco di padre ghanese) dia ai rifugiati un milione e un campo per allenarsi è un gesto conseguente, al punto da rendere pleonastica la foto che seguirà da qui a poche ore: i calciatori che entrano in campo tenendo per mano un bambino indigeno e uno immigrato.
Ben altra squadra è quella composta da una selezione dei 54 profughi ospitati in una palestra di Portogruaro intorno ai quali si è creata una rete di solidarietà. C’è uno scatto in cui li si vede, scampati a Boko Haram, all’Isis o semplicemente alla fame: sollevano la coppa vinta in un magro torneo ( due partecipanti) e sembrano molto moderatamente felici. I più entusiasti sono i tre rappresentanti della cooperativa che li assiste, soprattutto l’infermiera che regge il pallone, una rumena, capelli rossi, occhi verdi, in Italia dal 2007: un calcio allo stereotipo dell’inevitabile guerra tra poveri. Lo sconfiggono anche i pescatori tunisini che hanno chiesto ai “medici senza frontiere” di prepararli al soccorso dei rifugiatiripescati in mare: concentrati, come se li attendesse la battuta più importante della loro vita. Mentre domenica, forse, il web sarà invaso dalle immagini degli uomini di buona volontà austriaci che sfideranno la legge del loro Paese e di quello ungherese per caricare su auto private e pullman aziendali i disperati bloccati a Budapest e portarli oltre il confine. Avranno espressioni più risolute dei passeggeri, perché più consapevoli del destino a cui vanno incontro.
Questo mosaico ci racconta una cosa soltanto: l’uomo non è buono per natura, ma ogni tanto ci prova. Non tutti lo sono e nessuno lo è sempre. Ci sono momenti, necessità che determinano azioni isolate. A volte, questo è il bello, in piena contraddizione con le opinioni. Esistono alberi piantati in nome di antisemiti nel giardino dei giusti a Gerusalemme. Non siamo demoni affiorati né angeli caduti, dentro di noi abbiamo spazio per istinto di sopravvivenza e pulsione al sacrificio. Per gli ottimisti valga la storia di Tristan da Cunha, micro isola sperduta nell’oceano tra Brasile e Sudafrica, abitata da discendenti di naufraghi, pirati, soldati. Poche centinaia di persone e mai una violenza. Nel 1961, minacciati da un’eruzione vulcanica, furono evacuati in Inghilterra e inorridirono per la brutalità della vita quotidiana. In Sudafrica ebbero la stessa reazione davanti all’apartheid e vollero tornare alla loro terra. C’è un’isola simile dentro di noi. Qualcuno cerca di raggiungerla, qualcun altro di invaderla, ma senza quell’isola ci sarebbe soltanto acqua.


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