Ma è l’Europa tutta che reagisce all’emergenza profughi in ordine sparso. Altro che rispondere con una voce sola, come chiedono Angela Merkel e François Hollande. Da una parte, la cancelliera ha annunciato che la Germania sospende la Convenzione di Dublino, quanto meno per i fuggiaschi in arrivo dalla Siria: in altre parole, Berlino non rimanderà indietro i profughi nel primo Paese Ue dove sono entrati, come avrebbero imposto le regole internazionali. È un passo molto concreto, e va nella direzione richiesta anche da Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco, che sulla
Sueddeutsche Zeitung di ieri invitava a «non lasciar sole Roma e Atene». Nel frattempo però è l’Est europeo a segnalare le situazioni più esplosive. In queste ore il punto più rovente sembra essere il confine fra Serbia e Ungheria: almeno due-tremila persone al giorno stanno attraversando la frontiera che divide la repubblica ex Jugoslava dalla Ue, anche tagliando la barriera di filo spinato che il governo di Viktor Orban ha fatto sistemare, in attesa di finire la costruzione di un muro alto quattro metri. Nei prossimi giorni l’ondata di persone in arrivo da Grecia e Macedonia potrebbe superare le diecimila persone, avverte l’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
In Serbia, dice il governo di Belgrado, sono passati almeno centomila profughi, diretti verso il nord Europa.
Insomma, se davanti all’emergenza l’Europa mediterranea arranca, quella dell’Est reagisce scompostamente ed è persino tentata di adoperare la forza. Ma davanti alla disperazione servirà a ben poco anche l’inasprimento delle pene per chi entra, una misura annunciata da Budapest che però difficilmente potrà essere messa in pratica. Nemmeno i gas lacrimogeni e le granate stordenti adoperati dal governo macedone possono arrestare la fuga di chi a casa propria vede arrivare bombe a frammentazione, se non persino i gas nervini.