IL PETROLIO ha chiuso a Ferragosto la settima settimana consecutiva di crollo dei prezzi, con il greggio americano appena sopra i 40 dollari a barile e quello venduto in Europa che non riesce a risalire a 50 dollari. Rispetto ad un anno fa, la quotazione del barile è dimezzata e la ripresa di primavera si è confermata una illusione ottica: da giugno, i prezzi sono caduti del 25 per cento. Gli operatori più pessimisti dicono a Bloomberg che il prezzo potrebbe crollare ancora, fino a 10-20 dollari a barile. Gli altri si limitano a notare che è la peggior estate, per chi vende petrolio, degli ultimi trent’anni. E quello che conta, qui, è proprio la stagione. L’estate segna, tradizionalmente, il picco della domanda di greggio e anche dei prezzi: in Occidente, i consumatori salgono in macchina per andare in vacanza e in Medio Oriente (dove l’elettricità si produce ancora con il petrolio) i condizionatori vanno a palla. Invece, il prezzo crolla e, insistono i pessimisti, non può che andare ancora più giù: le vacanze stanno per finire e le raffinerie stanno per smettere di lavorare greggio per iniziare la manutenzione annuale.
Dal punto di vista dei consumatori, insomma, la bonanza del petrolio a prezzi stracciati sembra destinata a continuare e, probabilmente, ad allargarsi. La fragilità del mercato è dimostrata dal fatto che la domandacome la stagione comanda – è in effetti cresciuta. Anzi – dice la Iea, l’agenzia che monitora, per conto dei paesi ricchi, i mercati dell’energia – non era così vivace da cinque anni, spinta, forse, dai prezzi bassi della benzina. Ma non è bastato ad assorbire la cascata di petrolio che i produttori continuano a riversare sui mercati. L’Opec e gli arabi continuano a pompare più che possono. L’Iraq ha conosciuto un vero e proprio boom di produzione. Contemporaneamente, i concorrenti americani – i protagonisti della rivoluzione dello shale oil – ingolositi dalla ripresa dei prezzi a primavera, hanno spinto – almeno chi non è stato travolto dai debiti – sul pedale dell’estrazione. Il risultato, secondo i calcoli della Iea- è un surplus di offerta sulla domanda, nel secondo trimestre 2015, di 3 milioni di barili al giorno. Nei prossimi mesi, calcola ancora l’agenzia, questo surplus dovrebbe dimezzarsi, ma continuerà ad essere consistente ( circa 800 milioni di barili al giorno) per tutto il 2016. Solo alla fine dell’anno prossimo, dunque, domanda e offerta ritroveranno l’equilibrio. A quel punto, infatti, la guerra fra sceicchi e cowboys che sta incendiando il mercato del petrolio, potrà dirsi conclusa. Con la vittoria degli sceicchi. Saranno, secondo la Iea, i produttori non Opec (sostanzialmente, gli americani dello shale) a cedere le armi, riducendo la produzione.
In realtà, lo scenario rischia di essere anche più movimentato di quanto preveda la Iea. E le endovene di stimolante che il basso prezzo del petrolio inietta nelle asfittiche economie occidentali potrebbero moltiplicarsi, con nuove ulteriori dosi anche dopo fine 2016. La Iea, infatti, non tiene conto della reazione degli speculatori al nuovo crollo del petrolio in corso: chi ha speculato in questi mesi, stoccando greggio per venderlo a prezzi più alti questo inverno, ora ha il problema di smobilitare l’investimento e liberarsi del greggio, prima che il prezzo scenda ancora. Svuotare i depositi significa riallargare la forbice fra domanda e offerta. Non solo. La debolezza che sta mostrando in queste ultime settimane l’economia cinese può amputare ulteriormente la domanda: la Cina assorbe, da sola, oltre il 10 per cento del greggio mondiale. Infine, lo scenario della Iea non tiene conto del ritorno sul mercato di uno dei grandi produttori: l’Iran, dopo la fine delle sanzioni.
Il prezzo del petrolio, dunque, potrebbe rimanere ai minimi record anche al di là del 2016, prolungando la bonanza per i paesi consumatori. Se, infatti, il basso prezzo del barile riduce l’ammontare di petrodollari e le importazioni dei paesi produttori e pesa negativamente anche all’interno di qualcuno dei grandi consumatori (lo testimoniano le difficoltà della ripresa, ad esempio, nel Texas) la bilancia pende decisamente a favore dei benefici per i paesi occidentali, Europa in testa. Il riscontro più negativo è che, nonostante lo stimolo dei bassi prezzi dell’energia, di cui beneficia ormai da un anno, economie come quella europea non riescono a scrollarsi di dosso gli effetti della grande crisi finanziaria del 2008. O individuare le politiche giuste per approfittarne. Nonostante l’energia a prezzi stracciati e moneta facile – grazie alla Bce – come non si era mai vista, nessuna economia europea è ancora riuscita a tornare ai livelli di produzione industriale pre-2008. Neanche la Germania, sotto quel traguardo dello 0,4 per cento. Per l’Italia, la distanza è ancora vicina al 25 per cento.