Le colpe di Obama e quelle dei detenuti

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A metà luglio i media inter­na­zio­nali erano tal­mente foca­liz­zati sulla dop­pietta di vit­to­rie diplo­ma­ti­che con­se­guite da Obama (Iran e Cuba), da non accor­gersi del gesto che gli farebbe meri­tare per dav­vero il Nobel “pre­ven­tivo” con­fe­ri­to­gli nel 2009. Una foto emo­zio­nante lo mostra intento a per­cor­rere da solo il cor­ri­doio che immette nelle celle del car­cere fede­rale di El Reno in Okla­homa. Mai prima un pre­si­dente ame­ri­cano si era spinto a visi­tare un isti­tuto di pena.

Eppure le pri­gioni degli Stati Uniti van­tano un pri­mato mon­diale: ospi­tano un quinto dei car­ce­rati del pia­neta, ossia 2.200.000 dete­nuti, vale a dire quasi 750 ogni 100.000 abi­tanti (in Cina la media è di 120 dete­nuti ogni 100.000 abi­tanti, in Ger­ma­nia e in Sve­zia 70, in Giap­pone 63). Se in Ita­lia si regi­strasse la stessa per­cen­tuale rispetto alla popo­la­zione, i reclusi sareb­bero dieci volte tanto i 53.000 attual­mente ospi­tati nelle nostre prigioni.

Fino agli anni Ottanta i reclusi in Ame­rica erano un sesto di quelli odierni. Poi le celle si sono riem­pite di con­dan­nati (60% dei quali neri o ispa­nici) per reati meno gravi, sopra­tutto per droga, e anche di mino­renni e di malati men­tali. Già, per­ché i peni­ten­ziari sup­pli­scono alla carenza di isti­tuti psi­chia­trici, di rifor­ma­tori e di cen­tri di recu­pero per tossico-dipendenti. I mino­renni ven­gono giu­di­cati alla stre­gua di adulti: la Flo­rida ha con­dan­nato all’ergastolo Joe Sul­li­van per uno stu­pro com­messo all’età di 13 anni.

Come nel Medio Evo. Non stu­pi­sce che ogni anno si veri­fi­chino in cella 80.000 casi d’abusi ses­suali. Infine – pochi ne par­lano – 75.000 con­dan­nati giac­ciono in soli­tary con­fi­ne­ment, ossia in totale iso­la­mento per 23 ore al giorno: una forma di tor­tura, l’ha defi­nita l’ONU.

Ogni anno le forze dell’ordine arre­stano 15 milioni di per­sone, aggra­vando costi e sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio: senza la scor­cia­toia dei pat­teg­gia­menti la mac­china pro­ces­suale si grip­pe­rebbe. E senza costosi appalti pri­vati l’Amministrazione non ce la farebbe a soste­nere la domanda di nuovi isti­tuti di pena (qual­cuno iro­nizza che sia que­sto l’unico piano nazio­nale di edi­li­zia popo­lare), men­tre nel nord Europa si stanno chiu­dendo car­ceri per man­canza di “inquilini”.

In Ger­ma­nia e in Olanda, infatti, il tempo medio di reclu­sione è di un anno rispetto ai tre anni negli USA. Per capire meglio il feno­meno, una dele­ga­zione ame­ri­cana ha visi­tato nel 2013 l’Europa e ha sco­perto – guarda caso – che da noi si mira a rein­te­grare i dete­nuti nella società più che a punirli. E che alla fine si spende meno.

Se un giorno la popo­la­zione car­ce­ra­ria dimi­nuirà anche in Ame­rica, sarà per motivi di rispar­mio. Per­ché com­porta un salasso inso­ste­ni­bile: costava 10 miliardi qua­ranta anni fa, costa 80 miliardi oggi. Per ogni recluso l’erario spende all’incirca come stu­diare in una buona uni­ver­sità. Certo, i costi cale­reb­bero se si creas­sero ser­vizi rie­du­ca­tivi di stampo sve­dese (o bra­si­liano: il governo di Bra­si­lia con­cede ora sconti di pena a chi legge libri e dimo­stra di trarne giovamento).

Negli USA non si è ancora a que­sto punto. Ma a luglio Obama è riu­scito nel mira­colo di con­vin­cere demo­cra­tici e repub­bli­cani a rive­dere la bar­ba­rie del soli­tary con­fi­ne­ment e a cam­biare le norme che pre­ve­dono pene ecces­sive, visto che pro­lun­gate deten­zioni non sco­rag­giano affatto la delin­quenza. Ci è riu­scito andando a visi­tare i car­ce­rati dell’Oklahoma, il 16 luglio, e a con­fes­sare uscendo: “Nel rac­con­tarmi la loro infan­zia e la loro gio­ventù mi è parso capire che que­sti reclusi hanno com­messo errori non tanto diversi da quelli com­messi da me”.



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