Perché la morte del Mullah Omar è contro il processo di pace

Perché la morte del Mullah Omar è contro il processo di pace

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La noti­zia sul mul­lah Omar – che secondo il governo di Kabul sarebbe morto nell’aprile 2013 – più che for­nire cer­tezze sol­leva nuovi inter­ro­ga­tivi. Il primo, sul quale in que­ste ore si inter­ro­gano tutti gli ana­li­sti afghani, riguarda la tem­pi­stica. Per­ché è stata resa pub­blica pro­prio ora, a ridosso del secondo incon­tro uffi­ciale sul nego­ziato di pace tra espo­nenti tale­bani e rap­pre­sen­tanti del governo di Kabul? Per rispon­dere, con­viene porsi un’altra domanda: a chi giova que­sta notizia?

A chi è con­tra­rio al nego­ziato di pace; a chi non vuole una solu­zione diplo­ma­tica, dun­que poli­tica, al con­flitto afghano; ai gruppi di insorti che si sen­tono esclusi dal pro­cesso di pace; a quanti non vogliono che i Tale­bani entrino in un futuro, even­tuale governo di «ampia coalizione».

La morte del mul­lah Omar rischia infatti di appro­fon­dire le spac­ca­ture già esi­stenti tra le varie anime dei tur­banti neri: la shura di Quetta – vec­chia guar­dia dei Tale­bani – più incline al nego­ziato poli­tico; la shura di Pesha­war, che vor­rebbe posti­ci­pare i col­lo­qui di pace fino a quando non avrà ricon­so­li­dato le pro­prie finanze e otte­nuto signi­fi­ca­tivi suc­cessi mili­tari sul ter­reno; gli Haq­qani, il gruppo che avrebbe meno da gua­da­gnare, da un ces­sate il fuoco.

In que­ste ore si acca­val­lano le ipo­tesi sui man­danti della sof­fiata sulla morte di mul­lah Omar. C’è chi punta il dito con­tro quei lea­der tale­bani rilut­tanti al nego­ziato; chi con­tro que­gli ele­menti, interni al governo di Ashrf Ghani o anta­go­ni­sti rispetto ad esso (come l’ex capo dei ser­vizi di sicu­rezza, Amrul­lah Saleh), che non vedono di buon occhio la pre­senza dei bar­buti nel futuro governo afghano. Chi invece guarda all’estero, verso il governo ira­niano, con­tra­rio a un pro­cesso di pace che pare fin troppo etero diretto dall’Arabia sau­dita e soprat­tutto dal Paki­stan. E chi, infine, punta il dito con­tro pezzi dell’establishment mili­tare paki­stano, quei pezzi che mal sop­por­tano la nuova poli­tica del governo del primo mini­stro Nawaz Sha­rif, che sem­bra inten­zio­nato a rinun­ciare alla tra­di­zio­nale poli­tica di soste­gno agli isla­mi­sti armati.

Che Isla­ma­bad abbia un ruolo più che rile­vante nell’avvio del pro­cesso nego­ziale è fuor di dub­bio, come fuor di dub­bio è che la noti­zia – vera, falsa, pre­sunta – della morte di un lea­der che aveva appena dato luce verde ai col­lo­qui rompe molte uova nel paniere. Che il Paese dei puri avesse in animo di cam­biare stra­te­gia e di favo­rire una pace afghana sep­pur sotto egida pachi­stana lo si è capito due anni fa: quando i pachi­stani, resisi conto che il «con­ta­gio tale­bano» aveva ormai creato pro­blemi anche in casa (con la nascita del Tehrek-e-Taleban Paki­stan, i tale­bani pachi­stani ben più agguer­riti, qae­di­sti e san­gui­nari dei cugini afgani), hanno comin­ciato a bom­bar­dare il Nord Wazi­ri­stan, sede non solo dei gruppi radi­cali locali ma san­tua­rio anche dei tale­bani afgani e dei col­le­ghi jiha­di­sti uzbe­chi, ceceni o cinesi.

L’operazione Zarb-e-Azb, con­dotta con avia­zione e truppe di terra dopo il fal­li­mento di un ten­ta­tivo nego­ziale, ha ini­ziato però a pro­durre uno spo­sta­mento del fronte e il tra­sfe­ri­mento di cen­ti­naia di guer­ri­glieri dal Paki­stan all’Afghanistan. Kabul però ha ini­ziato a ripa­gare Isla­ma­bad con la stessa moneta usata dai pachi­stani che per anni han coc­co­lato la guer­ri­glia afgana cui Isla­ma­bad garan­tiva rifugi sicuri in cam­bio di un con­trollo sulla guerra. Anche Kabul si è messa a fare lo stesso, lasciando ai tale­bani pachi­stani (tra cui il capo del Ttp mul­lah Faz­lul­lah) la pos­si­bi­lità di tro­vare rifu­gio in Afghanistan.

Sep­pur obtorto collo il Paki­stan, ves­sato dalla guerra interna con gli isla­mi­sti di casa e pre­oc­cu­pato della nascita di un Daesh pachi­stano (il pro­getto calif­fale del Grande Kho­ra­san), ha dovuto scen­dere a patti con Kabul. La stra­te­gia è cam­biata e il Paki­stan ha optato per una solu­zione che accon­ten­tasse tutti. A un patto però: che la pace avesse un cer­ti­fi­cato di garan­zia pachi­stano e che fosse Isla­ma­bad a det­tare l’agenda. Ma la noti­zia di que­ste ore com­plica le cose. E sem­bra uscita pro­prio per met­tere in dif­fi­coltà il Paese dei puri e far fal­lire per l’ennesima volta la spe­ranza di un ces­sate il fuoco.



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