Libia, governi e milizie in guerra così l’Is va alla conquista di Tripoli

Libia, governi e milizie in guerra così l’Is va alla conquista di Tripoli

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IL RAPIMENTO dei quattro tecnici italiani nell’area di Mellitah mostra, se ce ne fosse bisogno, come la situazione in Libia sia ancora lontana dalla stabilità. Le diverse ipotesi circolate sulla matrice del sequestro — dall’Is alle tribù ostili al governo di Tripoli, dai gruppi alleati allo stesso governo tripolino a bande di criminali comuni — alimentate in tutto o in parte dagli stessi attori in campo, rivelano un gioco degli specchi in cui tutto appare possibile e allo stesso tempo distorto. I reciproci sospetti, permettono, però, di tracciare una mappa di alleanze problematiche, se non impossibili, di differenti ipotesi strategiche e alleanze esterne. Tali da rendere assai fragile, anche se andasse in porto, il tentativo di formare quel governo di unità nazionale sponsorizzato da Onu e Ue.
Secondo il governo tripolino, guidato da Omar al Hassi, esponente dei Fratelli musulmani, appoggiato dalla Turchia e dal Qatar ancora una volta a fianco della Fratellanza dopo la crisi egiziana, e sostenuto dagli ex ribelli di Misurata, gli autori del sequestro potrebbero essere membri del “Jeish al Qabail”, L’Esercito delle Tribù, una delle 23 milizie tribali del Consiglio militare rivoluzionario di Zintan, notoriamente ostili a quelle di “Alba libica” (Fajr) che sostengono Tripoli. Per il governo di Tobruk, quello internazionalmente riconosciuto e guidato da Al Thani, appoggiato da Egitto e Emirati Arabi,la cattura sarebbe, invece, opera delle milizie Fajr. Obiettivo: fare pressione sul governo italiano perché non chieda sanzioni contro il governo di Tripoli che non ha sottoscritto l’intesa negoziata dall’inviato Onu Bernardino Leon e accettata, invece, da Tobruk e alcune tribù. Ipotesi, questa, ritenuta infondata dalla Farnesina.
Fuori dallo scontro interessato tra governi e fazioni libiche restano due piste: quella di bande di criminali comuni o di simpatizzanti dell’Is, magari entrati nel Paese dalla frontiera tunisina. Un confine talmente poroso che la Tunisia intende costruire, in sintonia con l’era delle nuove barriere, un muro e un fossato che impediscano ai jihadisti locali di andare a addestrarsi in Libia, com’è accaduto all’autore dell’attentato di Souss, e ai contrabbandieri di proseguire i traffici illeciti tra i due paesi. Ipotesi, quella del muro di sabbia, decisamente respinta dal governo tripolino, che controlla la parte del paese confinante con la Tunisia.
L’Is è un problema per tutti. Dopo essere giunto a Sirte, gli uomini in nero stringono in queste settimane la morsa su Tripoli, dove già in gennaio avevano attaccato l’Hotel Corinthia. Tanto da indurre il governo di “salvezza nazionale” di Al Hassi, a chiamare alla mobilitazione generale per difendere “la terra, l’onore e la religione” e “eradicare”, termine solitamente usato dai militari nazionalisti ostili agli islamisti, i “takfiri”: espressione che indica gli jihadisti sunniti che lanciano anatemi contro quanti non ritengono “autentici” musulmani.
Nonostante la minaccia Is, Tripoli e Tobruk restano, però, lontane. Anche perché il tentativo di Leon ha provocato divisioni in entrambi gli schieramenti. Quello di Tobruk è alle prese con la scomoda presenza del generale Haftar, ormai in rotta di collisione con il premier Al Thani, accusato pubblicamente dal capo delle forze armate di corruzione e malgoverno. Haftar si e dettò contrario alla tregua siglata dalle milizie di Zintan con alcune tribù legate a Fajir Libia che hanno sottoscritto il documento e Leon si è scontrato anche con altri alleati tribali, in particolare con le tribù Obeidi e Barasa, su questioni di natura militare. La tribù degli Obeidi è la più numerosa e potente della Cirenaica e ha una tradizione di prossimità con il potere sin dai tempi della Senussia.
Ma il negoziato ha prodotto divisioni anche sul fronte opposto, con la nascita di una nuova forza, Sumud o Fronte della Salvezza, risultato delle tensioni nella coalizione Fajr Libia. Formata da Saleh Badi, influente militare e politico che rifiuta ogni negoziato con Tobruk, Sumud riunisce sette brigate di Misurata più molte di quelle di Tripoli. Sono queste fratture, legate agli uomini forti dei due schieramenti, che impediscono la nascita di quel governo di unità che pare l’unico antidoto allo jihadismo.


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