Non solo, la povertà assoluta continua a rimanere particolarmente elevata tra i minori, il 10 per cento, pari a più di un milione di minori e i giovani tra i 18 e i 34 anni, l’8 per cento, pari a 857mila.
Qualche miglioramento c’è stato solo per particolari sottogruppi, come le coppie con due figli (che tuttavia peggiorano un po’ dal punto di vista della povertà relativa), le famiglie con persone di riferimento in età tra i 45 e i 54 anni e le famiglie che vivono i piccoli comuni, specie nel Mezzogiorno. C’è stato, a prima vista sorprendentemente, un miglioramento anche per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (anche se queste continuano ad avere l’incidenza di povertà assoluta più alta), forse perché più che negli anni precedenti vedono al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro. È infatti aumentato in questi anni il numero delle famiglie in cui è la donna ad essere occupata.
Ed è noto come in molti casi sia la pensione di un genitore anziano a mantenere anche le famiglie dei figli adulti disoccupati. Avere una occupazione, tuttavia, non sempre è sufficiente per tenere fuori dalla povertà se stessi e la propria famiglia, specie se si è operai o assimilati. Un reddito modesto, specie se è il solo e se ci sono figli minori, può non essere sufficiente a far fronte ai bisogni di una famiglia.
Sono anche rimaste tutte le caratteristiche tipiche della distribuzione della povertà in Italia. Accanto alla ricordata forte incidenza della povertà minorile, dovuta soprattutto alla diffusione della povertà nelle famiglie con tre o più figli, e al fenomeno dei lavoratori poveri, il dualismo territoriale, con un tasso di povertà assoluta nel Mezzogiorno doppio di quello del centro-Nord: 8,6 per cento a fronte del 4,2 per centro del Nord e al 4,8 per cento del Mezzogiorno.
Questi tre elementi suggeriscono la necessità di andare oltre le sole politiche dell’offerta di lavoro fatte sin qui. Occorre investire nel contrasto alla povertà minorile e ai suoi effetti, tramite interventi mirati nella scuola, ma non solo, ed anche tramite trasferimenti diretti che integrino redditi da lavoro troppo modesti in modo non frammentario, quando non fuori bersaglio. Occorre anche favorire l’occupazione femminile, specie nei ceti più modesti, agendo sia sul lato della domanda, sia su quello dei servizi di cura, lasciati invece privi di investimenti in questi anni. Ed occorre anche prevedere un reddito di garanzia per chi, più o meno temporaneamente, non riesce ad inserirsi nel mercato del lavoro o non in modo tale da riceverne un reddito sufficiente a sé e alla propria famiglia.
I dati forniti dall’Istat quest’anno consentono anche di confrontare la situazione degli stranieri (residenti regolarmente) e delle famiglie di stranieri con quella degli autoctoni. Tra le famiglie di stranieri l’incidenza della povertà assoluta è quasi sei volte quella tra gli autoctoni, 23,4 per cento rispetto a 4,3 per cento. Le famiglie miste sembrano più protette, anche perché è più frequente che sia l’uomo ad essere italiano, ma sempre molto più vulnerabili di quelle tutte autoctone, con il 12,9% di povere assolute. La differenza tra italiani e stranieri è molto maggiore al nord che al sud, stante la maggiore diffusione della povertà tra le famiglie italiane in queste ultime regioni. Si conferma che gli stranieri in Italia, per le loro caratteristiche in termini di qualifiche professionali, ma anche per il tipo di domanda di lavoro che trovano, appartengono allo strato socio-economico più basso della società, condividendo, in modo accentuato, le vulnerabilità sperimentate anche dagli italiani che si trovano nelle stesse condizioni. Anche in questo caso, i più a rischio sono i minori e i giovani.