Amianto, condannati ex dirigenti della Pirelli

Amianto, condannati ex dirigenti della Pirelli

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Giustizia. Sono stati condannati dal Tribunale di Milano a pene fino a 7 anni e 8 mesi di reclusione undici ex dirigenti accusati di omicidio colposo in relazione a una ventina di casi di operai morti tra gli anni ’70 e ’80 per forme tumorali provocate dalla sostanza killer presente negli stabilimenti. I parenti delle vittime esultano, i legali degli imputati ricorrono in appello

Come dicono i parenti delle vit­time — di 18 ope­rai morti di tumore tra il 1979 e il 1989 — oggi sono con­tenti per­ché sono riu­sciti a far con­dan­nare “il padrone”. Almeno que­sta volta, anche se ci sono voluti decenni. Si tratta di una sen­tenza di primo grado emessa ieri dal Tri­bu­nale di Milano. Gli avvo­cati della difesa pre­sen­te­ranno ricorso in appello.

I misfatti sono avve­nuti in quella città nella città che dava lavoro a decine di migliaia di ope­rai tra Milano e Sesto San Gio­vanni, più pre­ci­sa­mente negli sta­bi­li­menti della Pirelli di viale Sarca (e di via Ripa­monti). Ci lavo­ra­vano le miti­che tute bian­che, un pezzo di sto­ria del movi­mento ope­raio. E ci lavo­ra­vano anche que­gli undici diri­genti che ieri sono stati con­dan­nati a pene fino a 7 anni e 8 mesi di reclu­sione con l’accusa di omi­ci­dio col­poso in seguito alla morte avve­nuta tra gli anni ’70 e ’80 di una ven­tina di ope­rai col­piti da una forma tumo­rale che non lascia scampo. Il meso­te­lioma, tumore da espo­si­zione all’amianto. La sen­tenza di primo grado è stata emessa dai giu­dici della sesta sezione penale, che sostan­zial­mente hanno con­di­viso la tesi del pm Mau­ri­zio Ascione secondo cui gli ope­rai sareb­bero morti a causa dell’inalazione di fibre di amianto.

Sono stati con­dan­nati Ludo­vico Grandi e Gian­franco Bel­lin­geri, ammi­ni­stra­tori dele­gati della Pirelli negli anni ’80, rispet­ti­va­mente a 4 anni e 8 mesi e a 3 anni e 6 mesi di car­cere. Con­danne anche per Guido Vero­nesi, fra­tello del cele­bre onco­logo ed ex mini­stro Umberto Vero­nesi (6 anni e 8 mesi), Gabriele Bat­ta­glioli (3 anni), Pier Gior­gio Sierra (6 anni e 8 mesi), Omar Libe­rati (3 anni e 6 mesi), Gavino Manca (5 anni e 6 mesi), Armando Moroni (3 anni), Roberto Picco (3 anni), Carlo Pedone (3 anni) e Luciano Isola (7 anni e 8 mesi). Secondo l’accusa, gli ope­rai morti di tumore lavo­ra­vano in fab­brica senza alcun sistema di pro­te­zione ed erano espo­sti in maniera mas­sic­cia e ripe­tuta all’amianto. Gli impu­tati, si legge nel capo di impu­ta­zione, “per impru­denza, negli­genza, impe­ri­zia e in vio­la­zione della nor­ma­tiva sulla sicu­rezza del lavoro”, avreb­bero cau­sato “la morte per meso­te­lioma pleu­rico o lesioni gra­vis­sime ai pro­pri dipen­denti per meso­te­liomi e asbe­stosi pleu­ri­che”. Anche la Asl, che a suo tempo con una con­su­lenza deci­siva evitò la richie­sta di archi­via­zione, ha con­fer­mato che gli ope­rai dece­duti rima­ne­vano “espo­sti per tutta la gior­nata lavo­ra­tiva, e senza l’adozione di ade­guati sistemi di aspi­ra­zione o pro­te­zione indi­vi­duale, alle fibre di amianto aero­di­sperse”. In un con­te­sto dove la sostanza kil­ler era pre­sente quasi ovun­que, nelle posta­zioni di lavoro, nei locali di ser­vi­zio e nei mate­riali pro­dotti (pneu­ma­tici). Per alcuni impu­tati il giu­dice ha dispo­sto anche l’interdizione per­pe­tua dai pub­blici uffici. Il tri­bu­nale di Milano ha con­dan­nato gli ex mana­ger anche al paga­mento di una prov­vi­sio­nale com­ples­siva di 520 mila euro per le parti civili (la mag­gior parte dei parenti, in seguito a una pre­ce­dente liqui­da­zione fuori dal dibat­ti­mento, si era già riti­rata dal processo).

Alla let­tura della sen­tenza alcuni parenti delle vit­time si sono abbrac­ciati per la gioia sro­to­lando anche uno stri­scione, “abbiamo dimo­strato che uniti si vince, que­sta volta siamo riu­sciti a far con­dan­nare il padrone”. Laura Mara, avvo­cato dell’Associazione ita­liana espo­sti amianto e di Medi­cina demo­cra­tica, si è detta estre­ma­mente sod­di­sfatta: “Final­mente il Tri­bu­nale di Milano ha rico­no­sciuto che morire sul lavoro è un reato. Que­sta sen­tenza è in linea con le recenti pro­nunce della Corte di Cas­sa­zione e dimo­stra che l’impianto accu­sa­to­rio ha retto”. Eppure, nelle scorse set­ti­mane, sem­pre a Milano, altri pro­cessi ana­lo­ghi che ave­vano coin­volto ex diri­genti della cen­trale Enel di Tur­bigo e della Franco Tosi di Legnano si sono con­clusi con l’assoluzione di tutti gli imputati.

I legali di Pirelli, ram­ma­ri­cati, in ogni caso sono inten­zio­nati a dare bat­ta­glia, “sulla base delle evi­denze scien­ti­fi­che ad oggi dispo­ni­bili emerse nel corso della fase dibat­ti­men­tale del pro­cesso siamo certi della cor­ret­tezza dell’operato dei nostri assi­stiti per i fatti con­te­stati risa­lenti a oltre 25 anni fa”. Una sto­ria che non è ancora finita.



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