Trattative Atene-Bruxelles: il «waterboarding» mentale

Trattative Atene-Bruxelles: il «waterboarding» mentale

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«L’hanno cro­ci­fisso lì den­tro». Tsi­pras ha dovuto subire «un mas­sic­cio water­boar­ding men­tale» – la tor­tura favo­rita dagli ame­ri­cani – nella mara­tona del Con­si­glio euro­peo ter­mi­nato lunedi mat­tina. Così i fun­zio­nari pre­senti descri­vono il clima del più lungo ver­tice euro­peo della sto­ria, finito con un docu­mento ter­ri­bile sulle con­di­zioni che la Gre­cia deve accet­tare per un nuovo pro­gramma di «aiuti». Ma per capire che cosa sta suc­ce­dendo ci sono tre livelli da considerare.
Il primo è il con­te­nuto let­te­rale dell’accordo. È una prova di sadi­smo eco­no­mico e di colpo di stato poli­tico. La reto­rica è costruita per legare mani e piedi la Gre­cia al tavolo della tor­tura: subito aumento dell’Iva, riforma delle pen­sioni, tagli di spesa auto­ma­tici. Lo svuo­ta­mento di sovra­nità è espli­cito: ogni deci­sione del governo di Atene dovrà essere prima appro­vata dai pro­con­soli che la troika avrà in Gre­cia. E non man­cano cadute nel ridi­colo – come il codice di pro­ce­dura civile da intro­durre in tre giorni e risol­vere la crisi con l’apertura dei negozi la dome­nica e la libe­ra­liz­za­zione di panet­te­rie e latterie.

Ma il senso eco­no­mico dell’accordo va letto al di là del tono. C’è la stretta dell’austerità, che aggra­verà la reces­sione del paese. Ci sono le libe­ra­liz­za­zioni del mer­cato del lavoro e le pri­va­tiz­za­zioni che dovranno por­tare 50 miliardi, da usare per risa­nare le ban­che gre­che, rim­bor­sare il debito e nuovi inve­sti­menti; qui ci potranno forse essere mar­gini di mano­vra. Soprat­tutto, ci sono quat­tro cose che erano prima assenti dal tavolo delle trat­ta­tive. La più urgente è il ritorno della liqui­dità nelle ban­che, che tut­ta­via reste­ranno chiuse un’altra set­ti­mana per l’incapacità di Dra­ghi di smar­carsi da Ber­lino. La seconda è l’ammontare del finan­zia­mento che verrà dal Mec­ca­ni­smo euro­peo di sta­bi­lità — tra 82 e 86 miliardi di euro — ben altra cosa rispetto alle bri­ciole del passato.

La terza è il rico­no­sci­mento dell’insostenibilità del debito greco e l’apertura all’allugamento delle sca­denze e ad altre misure. La quarta, nell’ultimo para­grafo, sono i 35 miliardi di fondi euro­pei per inve­sti­menti per rico­struire l’economia. Quat­tro cose che per­met­tono all’economia greca di evi­tare il col­lasso.
Infine c’è il livello poli­tico dell’accordo. Anche qui l’esito è più sfu­mato e denso di incer­tezze. C’è stata la scon­fitta della linea dura del mini­stro delle finanze tede­sco Schau­ble, che voleva cac­ciare la Gre­cia dall’euro. Le sue dimis­sioni devono essere ora un obiet­tivo di tutti quelli che hanno a cuore la soprav­vi­venza dell’Europa. C’è stata una crepa nei rap­porti tra Ber­lino e Parigi.

Den­tro i social­de­mo­cra­tici in Ger­ma­nia e nel Par­la­mento euro­peo sono cre­sciute le richie­ste di aper­tura; per­fino il timido Mat­teo Renzi ha detto – pare — «quando è troppo è troppo» e ha bene­fi­ciato ieri della caduta degli spread sui Bot ita­liani. C’è ora una caduta di cre­di­bi­lità della Ger­ma­nia e un forte sen­ti­mento anti-tedesco nell’élite degli Usa e tra i com­men­ta­tori mode­rati in Gran Bretagna.

Cre­scono le cri­ti­che anche in Ger­ma­nia; Hei­ner Flas­sbeck , già sot­to­se­gre­ta­rio alle finanze a Ber­lino, ha scritto sul suo blog che «que­sto sarà ricor­dato come il giorno in cui una poli­tica tede­sca miope e osti­nata è stata impo­sta all’Europa, pro­vo­cando una grande resi­stenza tra la gente in Europa e nel mondo. D’ora in avanti l’Europa è solo una chi­mera, una visione di coo­pe­ra­zione ed equità tra i popoli che è stata sof­fo­cata della poli­tica restrit­tiva tede­sca». Ad Atene l’accordo del Con­si­glio euro­peo fa pagare un prezzo altis­simo per la vit­to­ria del «no» al refe­ren­dum, rive­lando in que­sto modo quanto la costru­zione euro­pea sia ormai incom­pa­ti­bile con le pra­ti­che di democrazia.

Crea una spac­ca­tura den­tro Syriza, mette a rischio il governo di Tsi­pras, che potrebbe far appro­vare l’accordo da una mag­gio­ranza senza una parte del suo par­tito e col soste­gno dei cen­tri­sti. Incombe il rischio di dimis­sioni o nuove ele­zioni, con i nazi­sti di Alba dorata in agguato. Ma Tsi­pras, come ha già dimo­strato col refe­ren­dum, ha risorse ina­spet­tate e ha ancora due carte da gio­care. La prima è che l’Europa ha biso­gno di Tsi­pras per far pas­sare l’accordo in par­la­mento, dove non c’è una mag­gio­ranza senza il grosso dei voti di Syriza. Non ci sono le con­di­zioni per un ritorno dei tec­no­crati come in pas­sato.
La seconda è che con l’accordo Tsi­pras ha gua­da­gnato tempo, e aspetta la pos­si­bile vit­to­ria di Pode­mos in Spa­gna che cam­bie­rebbe gli equi­li­bri a Bru­xel­les. C’era un’altra pos­si­bi­lità per Tsi­pras? L’alternativa, rac­con­tata da Yanis Varou­fa­kis in un’intervista al New Sta­te­sman, sarebbe stato uno scon­tro più duro dopo che Dra­ghi ha chiuso le ban­che gre­che: annun­ciare l’emissione di liqui­dità nazio­nale in euro o in altre forme, il taglio del debito dete­nuto dalla Bce, la ripresa del con­trollo sulla Banca di Gre­cia. Una strada che il governo di Atene non si è sen­tito di per­cor­rere. Ma che resta una pos­si­bi­lità quanto più inso­ste­ni­bile sarà la ricetta impo­sta ieri da Bru­xel­les. Nel frat­tempo, il paese può ancora fun­zio­nare, nell’estate più calda della sua sto­ria recente.



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