Bambini di Gaza traumatizzati per generazioni

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Gaza. Circa il 98.3% dei bambini che vivono nella Striscia presenta sintomi riconducibili ad una diagnosi di PTSD (Post Traumatic Stress Disorder). I piccoli di Gaza si trovano chiusi in una spirale di traumi dalla quale non è possibile uscire perchè le uniche vie di fuga, le relazioni familiari e sociali, sono a loro volta compromesse e “traumatizzate”.

GAZA. “La guerra più deva­stante per la Stri­scia di Gaza”, come viene defi­nita dai pale­sti­nesi, ha pro­vo­cato un tra­gico dete­rio­ra­mento del benes­sere psi­co­fi­sico di adulti e minori. Circa il 98.3% dei bam­bini pre­senta sin­tomi ricon­du­ci­bili ad una dia­gnosi di PTSD (Post Trau­ma­tic Stress Disor­der). Tut­ta­via resta sem­pre molto dif­fi­cile par­lare di disturbi da stress “post” trau­ma­tico poi­chè nella Stri­scia i traumi con­ti­nuano a ripe­tersi e a man­te­nere livelli di stress ricor­renti. I sin­tomi più dif­fusi — secondo spe­cia­li­sti locali — sono tra quelli della “iper­vi­gi­lanza”: aggres­si­vità, fla­sh­back ed incubi e nella valu­ta­zione psi­co­lo­gica del bam­bino, sono da con­si­de­rare non solo i com­por­ta­menti mani­fe­sti ma anche il per­corso di svi­luppo, il fun­zio­na­mento del sistema fami­liare, le carat­te­ri­sti­che indi­vi­duali dei geni­tori e della loro rela­zione di cop­pia. La presa in carico del bam­bino com­porta spesso un sup­porto anche alla cop­pia geni­to­riale. Molto spesso i geni­tori sof­frono di depres­sione a causa del senso di impo­tenza dovuto al non riu­scire a pro­teg­gere i loro figli come vor­reb­bero. Da una situa­zione ambien­tale alta­mente ostile e mor­ti­fi­cante — come ad esem­pio l’esposizione cro­nica all’umiliazione inten­zio­nale — sca­tu­ri­sce la repres­sione di pul­sioni che porta tal­volta all’abuso ses­suale di minori da parte di mem­bri di sesso maschile all’interno del nucleo fami­liare. Inol­tre, il bam­bino che vive eventi trau­ma­tici tipici di con­te­sti di con­flitto armato per­ce­pi­sce i geni­tori come inca­paci di pro­teg­gerlo. La morte vio­lenta di una figura d’attaccamento genera nel minore uno stress grave e delle rea­zioni depres­sive. Sono sem­pre le madri che si rivol­gono agli spe­cia­li­sti e quelle che segna­lano even­tuali abusi cor­rono il rischio di riper­cus­sioni, poi­ché a livello sociale e cul­tu­rale è una pra­tica inac­cet­ta­bile. Per quanto riguarda i bam­bini rima­sti orfani dalla guerra, sono presi in carico da cugini o parenti, gra­zie ad un forte senso di solidarietà.

Alcune delle espe­rienze trau­ma­ti­che cau­sate dall’operazione mili­tare “Pro­tec­tive Edge” sono state: la fuga da un bom­bar­da­mento in corso, l’irruzione di sol­dati in casa durante la notte, essere uti­liz­zati come scudi umani dall’esercito israe­liano, avere la per­ce­zione di non essere mai in un posto sicuro, vedere distrutta la pro­pria casa e per­dere qual­siasi cosa, soprav­vi­vere con una o più disa­bi­lità cro­ni­che. Delle 138.406 case dan­neg­giate o distrutte durante l’ultima guerra, nes­suna è stata rico­struita. Attual­mente migliaia di bam­bini non hanno accesso all’istruzione e molti di quelli che rie­scono a rag­giun­gere scuole o strut­ture adi­bite dall’UNRWA hanno scarsa capa­cità di con­cen­tra­zione che rie­scono a riac­qui­stare pian piano con il sup­porto di ope­ra­tori e spe­cia­li­sti, poi­ché anche gli inse­gnanti molto spesso tro­vano dif­fi­coltà a gestire livelli così alti di stress. Solo nella parte della costa, quasi 300 edi­fici sco­la­stici sono stati dan­neg­giati da “Pro­tec­tive Edge”. In un con­te­sto simile, il lavoro mino­rile diviene uno stru­mento di sopravvivenza.

Durante una visita al Gaza Com­mu­nity Men­tal Healt Pro­gram, Yas­ser Jamei, diret­tore gene­rale, ha spiegato:“Durante l’ultima guerra noi del GCMHP siamo stati costretti a restare in casa, nono­stante l’istinto ci spin­gesse ine­so­ra­bil­mente in strada per dare sup­porto ed aiuto alle per­sone. Noi spe­cia­li­sti della salute men­tale dob­biamo cer­care di pre­ser­varci, per quanto pos­si­bile, dai traumi per­chè altri­menti come potremmo curare i bam­bini e la gente…E’ un com­pito estre­ma­mente dif­fi­cile. Molti ope­ra­tori di ONG, anche inter­na­zio­nali, sono scesi nelle strade, negli ospe­dali, durante i bom­bar­da­menti per dare il loro aiuto, si sono fatti gui­dare dall’istinto. Ma il risul­tato è stato che dopo poche set­ti­mane erano distrutti, trau­ma­tiz­zati, stres­sati, non in grado di ope­rare. Ed è pro­prio quando fini­scono di fumare le mace­rie che noi entriamo in azione. Per­chè da lì il crollo è invi­si­bile, ma egual­mente deva­stante”. L’incubo più ricor­rente per i bam­bini di Gaza è il ser­pente, rap­pre­sen­ta­zione di un male incon­trol­la­bile, ostile ed insi­dioso. “Ascol­tano la radio, guar­dano la TV, vedono cada­veri, sen­tono le bombe, il rumore assor­dante dei vetri che scop­piano, ascol­tano sto­rie di guerra. Sono ter­ro­riz­zati”. Le parole del fon­da­tore del Gaza Com­mu­nity Men­tal Healt Pro­gram, Eyad Ser­raj, anche se rife­rite all’attacco armato del 2012, sono tri­ste­mente attuali.

Lo sce­na­rio che si dise­gna è pre­oc­cu­pante; rap­pre­senta un qua­dro in cui il bam­bino si trova chiuso in una spi­rale di traumi dalle quale non gli è pos­si­bile uscire per­chè le uni­che vie di fuga, le rela­zioni fami­liari e sociali, sono a loro volta com­pro­messe e “trau­ma­tiz­zate”. Uno sce­na­rio carat­te­riz­zato da un’eterna, ango­sciante attesa del pros­simo bombardamento.

* Eleo­nora Pochi è una gior­na­li­sta pub­bli­ci­sta e una esperta di ser­vizi sociali. Di recente ha visi­tato Gaza



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