Tsi­pras fa il pieno di no in piazza

Tsi­pras fa il pieno di no in piazza

Loading

Atene. Oceanica manifestazione a sostegno dell’oxi: «Respingiamo il ricatto». Il premier greco parla da vincitore: «L’Europa che vogliamo non è quella degli ultimatum», ma un continente che «torni ai suoi principi fondativi». Sul palco Podemos e la Linke

Basta un colpo d’occhio dall’alto del palco di piazza Syn­tagma, al calar del sole, a squar­ciare all’improvviso la neb­bia che da giorni avvol­geva la vigi­lia del refe­ren­dum greco: una cor­tina fumo­gena fatta di inge­renze inde­bite dei lea­der euro­pei, ridi­co­liz­za­zione delle richie­ste gre­che all’Eurogruppo e dello stesso voto di dome­nica, pre­sen­tato come una scelta tra euro e dracma o tra euro­pei­sti e anti­eu­ro­pei­sti, titoli di gior­nale allar­mi­stici e bat­tage tele­vi­sivo a favore del sì.

La marea umana che si estende a per­dita d’occhio nell’enorme piazza e nelle arte­rie cir­co­stanti, senza solu­zione di con­ti­nuità fino a piazza Omo­nia, dice una cosa sola: il governo di Ale­xis Tsi­pras non è solo e il popolo che gli aveva dato fidu­cia appena cin­que mesi fa è sem­pre con lui. Anzi, è pronto a far­gli qua­drato attorno. Non sarà facile sba­raz­zar­sene, comun­que vada a finire dome­nica (e a que­sto punto sorge più di un dub­bio su son­daggi e pre­vi­sioni della vigi­lia, l’ultimo dif­fuso ieri da un gior­nale di cen­tro­de­stra, To Eth­nos, che dava il sì leg­ger­mente in vantaggio).

Quando sale sul palco in cami­cia bianca con i pol­sini arro­to­lati quasi fino al gomito, alle 21,50, Ale­xis Tsi­pras è con­sa­pe­vole del fatto che la prova di forza con il fronte del sì, radu­nato nel vicino Sta­dio del marmo, era ampia­mente vinta. Così, ha potuto tra­sci­nare la folla uti­liz­zando la stessa parola-simbolo della cam­pa­gna elet­to­rale dello scorso gen­naio: «elpida», «spe­ranza», la stessa parola che gli aveva con­sen­tito di scon­fig­gere pochi mesi fa «la poli­tica della paura» uti­liz­zata dagli avver­sari per pro­vare a non farlo vin­cere e ora ripro­po­sta in maniera ancora più bru­tale. Quello del pre­mier greco è un discorso da vin­ci­tore: «Popolo greco, oggi non pro­te­stiamo, festeg­giamo la vit­to­ria delle demo­cra­zia e man­diamo un mes­sag­gio di orgo­glio che nes­suno può invo­care», comin­cia. Poi, come nel pome­rig­gio in tele­vi­sione, incita i greci a «pren­dere il destino nelle pro­prie mani», per­ché «l’Europa che vogliamo non è quella degli ulti­ma­tum» ma un con­ti­nente che «torni ai suoi prin­cipi fon­da­tivi». Per que­sto «dome­nica man­de­remo un mes­sag­gio di egua­glianza e dignità», affonda il colpo.

In dieci minuti appena di discorso in mani­che di cami­cia, Tsi­pras non lesina qual­che stoc­cata a Jean Claude Junc­ker, Angela Mer­kel e il suo mini­stro del Tesoro Wol­fgang Schau­ble, rap­pre­sen­tato col volto truce nelle strade di Atene sui mani­fe­sti che inci­tano a votare no: «Nes­suno ha il diritto di dire che toglierà la Gre­cia dal suo spa­zio natu­rale», manda a dire ai fal­chi dell’austerità. Per que­sto invita «il popolo greco», che «ha dimo­strato molte volte di saper rispe­dire al mit­tente gli ulti­ma­tum», «a dire un grande e orgo­glioso no» anche a quest’ultimo, il più indecente.

Infine, prima di reci­tare alcuni versi di una poe­sia di Yan­nis Ritzos sul «pic­colo popolo senza spada né pal­lot­tole che com­batte per il pane di tutti», ben con­scio della deli­ca­tezza del momento, spende qual­che parola per smor­zare la ten­sione: «Lunedì, qual­siasi sarà il risul­tato, dob­biamo dire no alla divi­sione tra i greci». Unità, come aveva fatto appello in chiu­sura di cam­pa­gna elet­to­rale alla fine di gennaio.

Già nel pome­rig­gio, di fronte all’intensificarsi del bom­bar­da­mento media­tico e della pro­pa­ganda a favore del sì, Tsi­pras aveva deciso di lan­ciare un breve mes­sag­gio alla tele­vi­sione: «Dite no a ricatti e ulti­ma­tum, deci­dete con calma il vostro futuro», aveva detto alla popo­la­zione greca con l’obiettivo di tran­quil­liz­zarla. Durante la gior­nata era stata un’escalation di allarmi e pres­sioni: vec­chi arnesi della poli­tica greca, respon­sa­bili dell’indebitamento del paese come l’ex pre­mier Kostas Kara­man­lis, rima­sto in silen­zio durante tutti gli anni della crisi e dei Memo­ran­dum, che lan­cia­vano appelli per il sì, un gior­nale vicino alla destra che tito­lava su un pre­sunto pre­lievo dai risparmi supe­riori ai 20 mila euro, i ban­chieri che soste­ne­vano di avere liqui­dità fino a lunedì, per­fino una com­pa­gnia tele­fo­nica che si è messa a rega­lare minuti a chi inviava un mes­sag­gio con scritto «sì». Men­tre la Corte Costi­tu­zio­nale aveva dichia­rato valido il que­sito e smon­tato pure l’ultimo ten­ta­tivo di impedirlo.

Non è escluso che la ricom­parsa nell’agone poli­tico di per­so­naggi scre­di­tati e le fasti­diose inge­renze dei lea­der euro­pei nella cam­pa­gna refe­ren­da­ria, unite alla sen­sa­zione che l’Europa voglia asfis­siare la Gre­cia per arri­vare a un «regime change», abbiano gio­cato un ruolo nega­tivo per i soste­ni­tori del sì, facendo loro per­dere con­sensi piut­to­sto che guadagnarli.

In ogni modo, il pre­mier si è deciso a non limi­tarsi al pre­vi­sto comi­zio serale in piazza Syn­tagma e ha par­lato a tutti i greci, pre­ci­sando che «il refe­ren­dum non è sulla per­ma­nenza della Gre­cia nell’euro» e facen­dosi forza del fatto che anche il Fmi ha ammesso l’insostenibilità del debito elle­nico, con la pre­vi­sione un taglio del 30 per cento e la dila­zione del rima­nente 70 per cento in vent’anni: «Ha giu­sti­fi­cato la nostra scelta di non accet­tare un accordo che ignora il tema fon­da­men­tale del debito». Anche se stra­na­mente, ha fatto notare Tsi­pras, que­sto rap­porto «non è mai stato con­di­viso con le isti­tu­zioni nei cin­que mesi in cui abbiamo negoziato».

La boc­cia­tura del piano dei cre­di­tori rischia a que­sto punto di met­tere in pesante discus­sione pro­prio la lea­der euro­pea che voleva toglierlo di mezzo, e con lui le rina­scenti vel­leità delle sini­stre euro­pee, non a caso pre­senti in gran spol­vero sul palco di piazza Syn­tagma: un rap­pre­sen­tante della Linke strappa applausi quando dice «voi fate la vostra bat­ta­glia qui e noi faremo la nostra in Ger­ma­nia», ova­zione per Miguel Urban di Pode­mos che il pros­simo autunno potrebbe con­qui­stare la Spa­gna dopo aver già preso Madrid e Bar­cel­lona. Spa­zio pure a un mes­sag­gio di Gerry Adams per lo Sinn Fein, ai ciprioti dell’Akel, ai Verdi e a una espo­nente del cen­tro sociale Dik­tio di Exar­chia che tra­scina la folla reci­tando tutti i «no» dei movi­menti sociali. «La vit­to­ria del no signi­fi­cherà avere più forza sul tavolo dei nego­ziati» e non una fuga dall’Europa, ha detto Tipras. Da lunedì potrebbe avere ragione.



Related Articles

Ucraina. Fermare tutti i Caini

Loading

Ancora una volta il papa, che non hai mai lesinato parole di condanna a chi in questi anni ha «trafficato in armi parlando di pace» tornano forti a farsi sentire. Intanto Boris Johnson invia forze speciali a Kiev, mentre Mosca denuncia nuovi attacchi, dopo Belgorod, in territorio russo

La Spagna sperimenta un altro modello di sviluppo: settimana lavorativa di 32 ore

Loading

Al via la sperimentazione. Torna di stretta attualità in tempi di smartworking il progetto pilota sulla settimana lavorativa proposta da Más País. Íñigo Errejón: «Di cosa deve occuparsi la politica se non del tempo di vita?»

«La nuova Ici impoverirà  le famiglie»

Loading

Le stime dell’Istat. Benzina a 1,7 euro: è il prezzo più alto d’Europa

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment