NEW YORK. La sacerdotessa dei no-global incontra papa Francesco: sboccia una santa alleanza in nome della salvezza del pianeta. Naomi Klein è stata invitata in Vaticano il 2 e 3 luglio, parlerà a una conferenza internazionale che il Consiglio pontificio per la giustizia e la pace dedica all’enciclica “Laudato Si’”.
La Klein, canadese, autrice di “No logo”, “Shock economy” e “Una rivoluzione ci salverà” (Rizzoli), è una delle più autorevoli pensatrici dei movimenti ambientalisti, terzomondisti, di contestazione del liberismo. Alle sue idee hanno attinto di volta in volta Occupy Wall Street, gli indignados e Podemos. La intervisto mentre sta per partire alla volta dell’Italia: felice dell’opportunità, entusiasta dell’enciclica.
Che cosa le piace del documento papale sul cambiamento climatico?
«È una vera svolta, una rottura storica, con delle implicazioni importanti: sia politiche che economiche. Papa Francesco fa una lettura radicale dell’emergenza ambientale, nel senso letterale di questa parola: va alle radici della crisi. Ha deciso di chiamare per nome il motore scatenante: il modello economico, un capitalismo fondato sul profitto di breve termine. È un’enciclica da studiare e da digerire bene. Noi viviamo in una cultura che vuol semplificare tutto, il modello sono le famose “listicles” di Buzzfeed. La tentazione è quella di riassumere: le 10 cose che il papa dice sull’ambiente. No, il papa abbraccia la complessità, e i suoi messaggi sono complessi ».
Il suo saggio più recente, “Una rivoluzione ci salverà”, è considerato il più ottimista della sua trilogia. Dunque è possibile salvarci, e salvare il pianeta?
«Sono partita da dove ero rimasta nel mio libro precedente, “Shock economy”, cioè dal fatto che questo sistema economico – basato sulla dittatura del profitto individuale – usa le crisi per arricchire ulteriormente le élite. Il cambiamento climatico non fa eccezione. L’uragano Katrina e quel che da allora è accaduto a New Orleans, ne è una dimostrazione: un sistema economico brutale ha sfruttato il disastro per ulteriori privatizzazioni, un’esasperazione delle diseguaglianze. È lo scenario che ci mostrano i film hollywoodiani di maggior successo popolare, da Mad Max a Hunger Games: un futuro di violenza, brutalità, diseguaglianze sempre più feroci. La sfida è immaginare come possiamo cambiare questo futuro. È questo il tema del mio ultimo libro. Non sono ottimista in senso ingenuo. Non dò per scontato che lo scenario migliore accadrà. Mi collego proprio allo spirito dell’enciclica papale, che affronta i valori culturali e morali dominanti. Il nostro sistema di valori attuale non ci attrezza a cooperare fra noi per la salvezza collettiva».
Lei è severa verso due delle ricette adottate in passato per affrontare il cambiamento climatico: i megavertici internazionali da Kyoto in poi; e i sistemi di regolazione delle emissioni attraverso un mercato, il cosiddetto “cap and trade”, cioè lo scambio di quote di emissione.
«Il limite dei megavertici è lo stesso limite dei governi. Se non hanno la forza di prendere certe decisioni a livello nazionale, perché dovrebbero comportarsi diversamente solo perché si ritrovano insieme in un summit? Le élite sono ancora immerse nell’ideologia neoliberista, non hanno la forza di opporsi alle multinazionali dell’economia carbonica. Vedi l’esempio di Barack Obama, che fa dei bei discorsi sull’ambiente ma poi dà alla Shell il permesso di trivellare nell’Artico: perché dirle di no gli sarebbe molto difficile. In quanto al sistema “cap and trade”, anch’esso è un sintomo della mancanza di volontà di regolamentare le imprese. Si è creato un mercato delle emissioni carboniche che genera nuove occasioni di profitto, e anche tante frodi, invece di stabilire semplicemente delle limitazioni per legge. Quel sistema venne imposto dagli Stati Uniti a un’Europa recalcitrante. Gli europei capitolarono ai tempi dei negoziati sul protocollo di Kyoto (in Germania la Merkel era ministrodell’Ambiente a quell’epoca) in modo da ottenere che gli Stati Uniti firmassero quel trattato. E poi gli americaninon lo firmarono neppure ».
Lei indica invece che le novità più positive sono emerse a livello locale.
«Sì, la mobilitazione dei cittadini dal basso in certi casi ha costretto i politici a dire di no agli interessi del capitalismo carbonico. Un esempio recente dove abita lei, a New York: il governatore Andrew Cuomo voleva autorizzare l’estrazione di gas e petrolio con la tecnologia del fracking, ma i movimenti contrari lo hanno costretto a mettere al bando quella tecnica pericolosa e nociva. Un altro esempio interessante è il forte movimento anti-nucleare in Germania, che dopo la tragedia di Fukushima ha costretto il governo Merkel ad accelerare la transizione verso le energie rinnovabili: già oggi forniscono il 30% del fabbisogno tedesco».
Uno dei temi che solleva papa Francesco in “Laudato Si’”, è la necessità di ripensare le nostre democrazie, insieme con i valori etici che guidano le nostre scelte quotidiane: di consumatori e di cittadini.
«Sì, la questione della democrazia è centrale. Un esempio di attentato alle democrazia: una multinazionale svedese ha fatto ricorso contro la Germania accusandola di ledere i propri diritti, quando Berlino ha deciso di abbandonare il nucleare. Le democrazie nazionali, anche quelle che funzionano meglio, possono essere minacciate dai nuovi trattati di libero scambio con le clausole a favore delle grandi imprese. Una delle qualità di questa enciclica papale è il suo approccio olistico, che tiene insieme ambiente, economia, politica. Sono dimensioni inscindibili. Mentre invece quando c’è una crisi economica la si affronta per compartimenti stagni. Vedi la crisi dell’eurozona: i tagli ai bilanci pubblici sono diventati il pretesto per ridurre il sostegno alle energie rinnovabili, rilanciare le trivellazioni marittime, penalizzare i trasporti pubblici alzandone le tariffe. Quando parliamo dei danni provocati dall’euro-austerità ci dimentichiamo regolarmente questo: il danno all’ambiente».