Barack Obama vince a sinistra e a destra

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In una delle deci­sioni più attese dell’anno la corte suprema degli Stati uniti ha dichia­rato legale le sov­ven­zioni fede­rali alla sanità pub­blica e sal­vato la riforma sani­ta­ria imple­men­tata cin­que anni fa da Barack Obama.

Con un voto di 6–3 i giu­dici hanno rite­nuto legali i fondi fede­rali elar­giti ai sin­goli stati per sov­ven­zio­nare l’acquisto di assi­cu­ra­zioni medi­che da parte di fami­glie disa­giate. Il pro­gramma era stato denun­ciato come un’ingerenza inde­bita di Washing­ton nelle ammi­ni­stra­zioni dei sin­goli stati e pur di boi­cot­tarlo molti gover­na­tori repub­bli­cani di stati con­ser­va­tori hanno rifiu­tato i fondi offerti dal governo. Il caso spe­ci­fico era stato aperto a nome di quat­tro «sin­goli cit­ta­dini» ma in realtà era orche­strato dai repub­bli­cani attra­verso un think tank libe­ri­sta, il Com­pe­ti­tive Enter­prise Insti­tute. I legali del Cei ave­vano tenuto nasco­ste le iden­tità delle pre­sunte parti lese che si erano infine rive­late con­ser­va­tori con­trari alla «tassa sulla salute» (la legge pre­vede una penale impo­sta dall’erario a chi non acqui­sta un piano sanitario).

Già tre anni fa la mas­sima corte aveva affer­mato la costi­tu­zio­na­lità della riforma Obama gra­zie al “tra­di­mento” del suo pre­si­dente, John Roberts. Anche ieri Roberts ha fir­mato con i col­le­ghi libe­ral la sen­tenza che riaf­ferma in via defi­ni­tiva il pro­gramma di governo del primo man­dato Obama e una riforma per la quale, più che per ogni altra ini­zia­tiva il pre­si­dente verrà molto pro­ba­bil­mente ricordato.

«Oggi è un grande giorno per l’America» ha dichia­rato Obama poco dopo la sen­tenza affian­cato da Joe Biden nel rose gar­den della Casa bianca. Si è trat­tato invece di un’amara scon­fitta per i repub­bli­cani che hanno fatto dell’opposizione alla sanità «socia­li­sta» di Obama la chiave di volta di un ostru­zio­ni­smo poli­tico che rav­visa nello sta­ta­li­smo di Obama l’anatema ideo­lo­gico più inviso a una destra sem­pre più ama­reg­giata e iso­lata mal­grado la mag­gio­ranza par­la­men­tare con­qui­stata nelle ultime elezioni.

Oba­ma­care è così diven­tata sin­gola osses­sione e al con­tempo sim­bolo di inef­fi­ca­cia per il Par­tito repub­bli­cano che dalla sua imple­men­ta­zione ne ha votato per ben 56 volte l’abrogazione in par­la­mento (pur senza disporre dei voti neces­sari a evi­tare il veto pre­si­den­ziale). Que­sta ultima sen­tenza relega ancora più inso­ste­ni­bil­mente nella parte “per­dente” il loro par­tito. Com­presi i nume­rosi pre­ten­denti alla pros­sima nomi­na­tion pre­si­den­ziale, tutti pro­nun­cia­tisi pub­bli­ca­mente e ripe­tu­ta­mente con­tro. A favore cioè di un’abrogazione ancor meno plau­si­bile ora che, come ha affer­mato Obama, «la legge è defi­ni­ti­va­mente parte del tes­suto legi­sla­tive del nostro paese».

Visi­bil­mente sod­di­sfatto, il pre­si­dente ha inse­rito la sua mag­giore vit­to­ria poli­tica nella tra­di­zione del new deal roo­se­vel­tiano. «Tre gene­ra­zioni fa gli ame­ri­cani hanno isti­tuito social secu­rity (le pen­sioni pub­bli­che, ndr). Due gene­ra­zioni fa medi­care (la pre­vi­denza per gli anziani, ndr). La nostra gene­ra­zione ha scelto di com­ple­tare l’opera». Ma die­tro la reto­rica si cela la realtà: lungi dall’istituire una sanità sociale, la riforma è un mode­rato rior­di­na­mento nor­ma­tivo del colos­sale com­plesso sani­ta­rio pri­vato che, pur limi­tando i soprusi più scan­da­losi dell’industria pre­vi­den­ziale (come le polizze annul­late per malat­tia «ecces­siva»), si limita a san­cire l’obbligo dell’assicurazione pri­vata, mode­rando i costi con una più ampia base di iscritti, ma rega­lando anche agli assi­cu­ra­tori milioni di nuovi clienti.

Solo lunedì lo stesso Obama aveva ammesso di aver scelto il minore dei mali per rime­diare alla ver­go­gna di una potenza indu­striale con 30 milioni di non assi­cu­rati. «Siamo uno dei pochi paesi al mondo che opera con que­sto strano regime misto pub­blico e di set­tore pri­vato che è som­ma­mente inef­fi­ciente, ha costi ele­va­tis­simi e ser­vizi non neces­sa­ria­mente all’altezza. Ma l’idea di poter di colpo sba­raz­zarci di un sistema che assorbe un sesto della nostra eco­no­mia e impiega milioni di per­sone sem­pli­ce­mente non era rea­li­stica». Per quanto ieri abbia elo­giato la riforma che rende la salute non più un pri­vi­le­gio per pochi, la realtà è che una fami­glia media ame­ri­cana quel diritto lo deve pur sem­pre pagare 800 dol­lari al mese.

Rimane agli atti una pesante vit­to­ria poli­tica, per Obama la seconda nella stessa set­ti­mana dato che giunge due giorni dopo il voto che ha ribal­tato nel Con­gresso l’opposizione al libero com­mer­cio. Ini­zial­mente una fronda dei demo­cra­tici aveva boc­ciato la sua richie­sta di spe­ciale auto­rità per nego­ziare i ter­mini del trat­tato TPP con 12 paesi del ver­sante Paci­fico (la con­tro­parte al trat­tato TTIP per la libe­ra­liz­za­zione del com­mer­cio con l’Europa). Diventa così pro­ba­bile l’adozione defi­ni­tiva dei trat­tati libe­ri­sti su cui Obama è alleato con i repub­bli­cani di indu­stria e finanza.

Demo­cra­tici, pro­gres­si­sti e sin­da­cati sono invece com­pat­ta­mente con­trari agli accordi che pro­met­tono di aumen­tare i poteri con­trat­tuali delle cor­po­ra­tion rispetto a stati sovrani e nor­ma­tive ambien­tali e di favo­rire l’ulteriore delo­ca­liz­za­zione glo­bale del lavoro. Per Obama in sostanza una vit­to­ria “demo­cra­tica” e una “repub­bli­cana”, che messe insieme pre­miano la sua dot­trina del prag­ma­ti­smo moderato.



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