Se anche i cinesi si ribellano alla strage dei diecimila cani

Se anche i cinesi si ribellano alla strage dei diecimila cani

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PECHINO La mattanza, almeno quella pubblica, è finita ieri. Anche quest’anno diecimila cani sono stati uccisi e venduti al mercato di Yulin, città cinese della provincia sudoccidentale del Guangxi. A Yulin il solstizio d’estate si celebra con il «Festival della carne di cane», che viene cucinata e mangiata con il contorno di litchi, un frutto noto anche come ciliegia della Cina. Secondo antiche credenze, la carne di cane riduce il calore interno del corpo, aiuta la circolazione del sangue, protegge dai virus e rinforza la virilità. La tradizione è seguita anche in altre province, come Guangdong, Jiangxi, Yunnan e Hubei. Ma è a Yulin che si concentrano per il solstizio i cultori del rito feroce e gli oppositori animalisti.
Le immagini sono dure, raccapriccianti. Spesso i cani, ammassati in gabbie, vengono scelti e contrattati al mercato mentre sono ancora vivi e poi uccisi sotto gli occhi dei clienti; sui banchi sono allineate carcasse spellate. Il prezzo al mercato parte da 100 yuan (una dozzina di euro) per le bestiole più piccole.
I mangiatori cinesi (ma la pratica è seguita anche in Corea) sostengono che squartare un cane non è diverso da mangiare carne di maiale. Ma è anche il modo che indigna. Se la tradizione risale a quanto sembra a quattro o cinque secoli fa, l’evento di Yulin, il festival, è stato lanciato nell’estate del 1995 per richiamare la gente e aumentare la clientela nei ristoranti specializzati e nel 2009 qualcuno ha pensato bene di premiare i piatti di carne di cane in un concorso gastronomico.
Queste trovate pubblicitarie hanno richiamato l’attenzione degli animalisti cinesi. Che questa volta hanno organizzato un tam tam sul web che ha raccolto in pochi giorni quasi quattro milioni di adesioni. Si sono schierati famosi attori e attrici, come Fan Bingbing che ha postato un video di condanna e Gong Li, la protagonista di Lanterne Rosse .
La pressione ha spinto le autorità della provincia orientale dello Zhejiang a chiudere il loro festival nel 2011. E anche l’agenzia statale Xinhua , voce ufficiale di Pechino, quest’anno ha riferito delle polemiche e delle contestazioni. «Non c’è da sorprendersi se la gente cerca di salvare dal macello 10 mila cani», osserva l’agenzia. Che poi cita i risultati di un sondaggio online in base al quale l’87 per cento dei cinesi è contrario al massacro.
La Xinhua cita il vicedirettore dell’ufficio veterinario di Yulin secondo il quale le autorità locali non hanno mai sostenuto il festival, che «è solo una riunione di gente del posto nel giorno del solstizio». L’agenzia non prende apertamente posizione, non scrive che quella di Yulin è una tradizione crudele, ma spiega come ora la classe media in Cina si sta consolidando, molte giovani famiglie considerano i cani amici e compagni e non cibo. Il fronte animalista si sta rafforzando.
Questo rappresenta un doppio imbarazzo per il governo centrale. La stampa internazionale segnala lo scandalo come prova di inciviltà e rivela che l’industria della carne di cane si alimenta di razzie di animali: una macchia sul tentativo cinese di diffondere il «soft power» culturale.
D’altra parte a Pechino ogni movimento popolare organizzato è visto come un attacco alla stabilità politica: e gli animalisti cinesi si stanno coalizzando, come dimostra l’appello che corre sul web e qualche protesta in strada a Yulin. Ha avuto grande risalto anche l’iniziativa di Yang Xiaoyun, una insegnante in pensione di Tianjin che ha fatto migliaia di chilometri per andare a Yulin e riscattare un centinaio di cani destinati al macello. Ha speso diverse migliaia di yuan per adottarli ed è diventata un’eroina della campagna.
Guido Santevecchi


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