Fisco, l’Europa contro i big «Basta pagare mini-tasse»

Fisco, l’Europa contro i big «Basta pagare mini-tasse»

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Quando due anni fa venne convocato al Senato degli Stati Uniti per spiegarsi, Tim Cook difese un punto fermo: né lui né l’azienda di cui è alla guida dal 2011, Apple, sono degli elusori fiscali. La Commissione europea non ne è convinta, perché nel giugno scorso ha aperto un’inchiesta per l’aliquota di appena il 2% che il colosso basato a Cupertino, in California, riesce a pagare in Irlanda su una parte rilevante dei suoi ricavi. Apple rischia di dover pagare decine di miliardi in tasse arretrate a Dublino, dopo essere stata attratta in Irlanda con la promessa di enormi sgravi fiscali.

Da oggi però la campagna dell’esecutivo Ue salirà di intensità, perché non si limita più alle indagini su singole aziende. Non riguarda più solo la strategia perseguita da Google o da Amazon di denunciare i propri ricavi europei nel Paese che li tassa di meno, spesso proprio l’Irlanda. Salvo sorprese dell’ultim’ora, è pronto e sarà approvato stamattina a Bruxelles un «piano d’azione» complessivo per evitare che polemiche come quelle su Apple, Google o Amazon continuino a ripetersi.
Formalmente si tratta di una «comunicazione» della Commissione. La sostanza però è che sta partendo in Europa una campagna contro l’elusione globale delle multinazionali che, nelle intenzioni, deve seguire le orme di quella degli anni ‘90 contro il segreto bancario e i paradisi fiscali del risparmio. Fu Mario Monti, allora commissario Ue alla Fiscalità, a far decollare quell’iniziativa e i risultati, quasi vent’anni dopo, sono maturati in pieno. Ma per le multinazionali che spostano i profitti e le sedi verso «cassette delle lettere» e «gusci vuoti» nei Paesi che promettono aliquote più basse, tutto può cambiare più in fretta: in pochi mesi dovrebbe già arrivare una prima direttiva, ossia una proposta di legge europea.
«Le regole attuali sulla tassazione delle imprese non sono più adatte — si legge nel piano d’azione di Bruxelles —. I ricavi delle imprese sono tassati a livello nazionale, ma il quadro economico è diventato globalizzato, mobile e digitale. I modelli di business e le strutture d’impresa sono diventate più complesse, rendendo più facile spostare i profitti». Di qui l’accusa della Commissione: «Certe aziende stanno sfruttando questa situazione per spostare i profitti verso le giurisdizioni fiscali con le tasse più basse e per ridurre al minimo il loro contributo fiscale complessivo».
In molti Paesi usciti dalla Grande Recessione, sta diventando un problema politico e Bruxelles, nel testo che discuterà oggi, lo riconosce: «Il fatto che certe multinazionali molto redditizie sembrino pagare pochissime tasse rispetto ai propri ricavi, mentre molti cittadini subiscono pesantemente l’impatto degli sforzi di risanamento, provoca scontento», si legge. «Questa percezione di mancanza di equità minaccia il patto sociale fra governi e cittadini, e potrebbe persino impattare sulla fedeltà fiscale complessiva».
È raro che la Commissione, che per anni parte della Troika in tutti i Paesi soggetti ai salvataggi, presti attenzione all’impatto politico dei sacrifici. Ma le conclusioni sono nette: «C’è urgente bisogno di sfidare gli abusi fiscali (delle multinazionali, ndr) e rivedere le regole tributarie sulle imprese, per contrastare meglio la pianificazione fiscale aggressiva».
Gli obiettivi e i prossimi passi sono già definiti. L’intenzione di fondo, si legge, è far sì che ricavi e profitti siano tassati principalmente nei Paesi nei quali le multinazionali li realizzano. Non più dove a loro conviene di più. E il primo passo per la Commissione sarà proporre una proposta di direttiva (“il più presto possibile nel 2016”) che obblighi i governi e le imprese in Europa ad avere una «base fiscale comune consolidata».
Tutti i gruppi dovranno essere tassati in base alla stessa definizione di imponibile: non dovrebbe più essere possibile trattare a fini fiscali il debito, il capitale, o le spese in ricerca e sviluppo in modi diversi in Paesi diversi. Non è un problema nuovo. Da anni Francia e Germania provano a piegare l’Irlanda, che tassa le imprese appena al 12,5% (e Apple al 2%) e ne attrae centinaia dall’Europa continentale. Nel 2010 e 2011 Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, il leader di Parigi di allora, cercarono di vincolare il salvataggio di Dublino all’eliminazione di quell’aliquota al 12,5%. Fallirono, e soprattutto per la Germania è un problema: anche durante la fase più dura della crisi di Dublino, avevano sedi in Irlanda 300 imprese tedesche fra le quali Sap, Allianz, Bayer e Deutsche Bank. Che il tema sia sensibile anche negli Stati Uniti, lo conferma del resto il premio Pulitzer assegnato quest’anno a Zachary Mider di Bloomberg News per un’inchiesta sulle multinazionali Usa che fuggono fiscalmente in Europa: Pfizer in Gran Bretagna, ma negli ultimi 30 anni 18 sono andate in Irlanda, 7 in Olanda, 4 in Lussemburgo. In Italia la stessa Fca ha spostato la sede fiscale in Gran Bretagna.
In base al piano, ora tutti i governi dovrebbero essere obbligati alla trasparenza sui patti fiscali stretti con le imprese per attrarre i loro investimenti. Alle multinazionali invece saranno date garanzie di non dover pagare due volte le tasse sugli stessi ricavi, e di poter scontare nel consolidato di gruppo perdite in un certo Paese. Non sarà una passeggiata, perché sulle tasse tutto in Europa si decide all’unanimità dei paesi. Ma il treno è partito, e può solo iniziare a correre di più.
Federico Fubini


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