Costruiamo un’Unione eurafricana

Costruiamo un’Unione eurafricana

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È come se l’Europa fosse piom­bata di nuovo in una guerra. Solo i suoi gover­nanti non se ne sono accorti. Pochi di noi, sem­pre meno, in tutta Europa, sono ormai sicuri di poter tor­nare domani nella fab­brica o nell’ufficio dove hanno lavo­rato fino ad oggi; e non per­ché quei luo­ghi siano stati distrutti da una bomba, ma per­ché rischiano di venir chiusi dai debiti o da una delo­ca­liz­za­zione. Lo stesso vale per la casa dove si è abi­tato fino a ora: sfratto per moro­sità o rateo del mutuo non pagato. O per la pen­sione, dis­solta, dimez­zata o allon­ta­nata da un dik­tat della Com­mis­sione Euro­pea. Ma oggi suc­cede anche che i giar­dini o le sta­zioni siano improv­vi­sa­mente invase da pro­fu­ghi abban­do­nati a se stessi. Sono ancora casi sin­goli, ma di un tale impatto da pro­iet­tare la loro imma­gine su tutto il paese. È una gene­rale situa­zione di insi­cu­rezza che si coa­gula, gra­zie anche (ma non solo) agli impren­di­tori poli­tici della paura, in una dif­fusa per­ce­zione di per­colo (anche se spesso die­tro il peri­colo com­pare soprat­tutto il fasti­dio) e nella ricerca di un capro espia­to­rio: cer­cato non nelle alte sfere di chi ha sca­te­nato quella guerra con­tro i popoli, ma, come sem­pre, tra le fasce più reiette: rom, pro­fu­ghi, migranti. Il brac­cio di ferro tra il governo greco e le Isti­tu­zioni (già Tro­jka) è la riprova che i governi dell’Europa chiu­dono gli occhi di fronte alla realtà. Che cosa cre­dono mai di otte­nere? Se anche vin­ces­sero pie­gando o sfa­sciando Syriza, come stanno cer­cando di fare, non recu­pe­re­ranno mai il loro denaro (pre­stato per sal­vare in realtà le loro ban­che) e non fareb­bero che pro­cra­sti­nare quell’instabilità che già oggi pena­lizza tutte le loro eco­no­mie. Per­ché il debito greco, come quello ita­liano e di molti altri paesi, è inso­ste­ni­bile. Ma apri­reb­bero così le porte alla rimonta di Alba Dorata. Se invece finis­sero per cac­ciare la Gre­cia dall’Euro le cose non andreb­bero certo meglio. La deriva del paese ne tra­sci­ne­rebbe uno dopo l’altro, o tutti insieme, molti altri.

Ma le mani­fe­sta­zioni di insi­pienza non fini­scono qui: emer­gono ora con viru­lenza nella vicenda dei pro­fu­ghi: anche in que­sto campo Gre­cia e Ita­lia sono state elette a vit­time sacri­fi­cali di una poli­tica senza futuro. Quello che Maroni vor­rebbe fare delle Regioni dell’Italia meri­dio­nale e che Sal­vini (nella sua nuova veste di eroe nazio­nale) vor­rebbe fare della Libia — trat­te­nere là i pro­fu­ghi che non vogliono acco­gliere qua — l’Europa, cioè i governi dei paesi mem­bri, incal­zati e tra­volti dai furori xeno­fobi e anti­eu­ro­pei delle destre, lo stanno già facendo nei con­fronti di Gre­cia e Ita­lia: «È un pro­blema vostro; tene­te­veli. Siamo stati così desi­gnati a campo pro­fu­ghi, nuova Libia delle guerre che inve­stono ormai i con­fini di tutta l’Unione.

E’ la prova di una totale man­canza di visione di che cosa possa, ma anche debba, essere l’Europa; e di una totale man­canza di stra­te­gia di fronte ai pro­blemi più gravi. Dal canto suo, il governo ita­liano, inve­stito diret­ta­mente dall’ondata mon­tante (ma pre­ve­di­bile) dei pro­fu­ghi, ha messo a punto (accanto alla ini­zia­tiva sal­vi­fica, ma a ter­mine, di Mare Nostrum) due solu­zioni emble­ma­ti­che del modo con cui affronta le emer­genze. La solu­zione Alfano-Buzzi: spe­cu­lare a man bassa, sia in ter­mini eco­no­mici che elet­to­rali, su quei dispe­rati. E la solu­zione Alfano-Pansa: farli scap­pare dai luo­ghi di acco­glienza (cioè di deten­zione); lasciarli per strada. Che si arran­gino a riem­pire sta­zioni, giar­dini, fab­bri­che abban­do­nate, rico­veri improv­vi­sati. Così si ali­menta allar­mi­smo tra popo­la­zioni ignare della dimen­sione geo­po­li­tica del pro­blema e indotte a guar­dare solo ciò che inter­fe­ri­sce con le loro vite quo­ti­diane. Ma soprat­tutto si offrono nuovi argo­menti alle stra­te­gie di Salvini.

Ma che cosa suc­ce­derà se o quando vin­cerà Sal­vini? O quando le sue ricette saranno fatte pro­prie da chi ci governa (il piano B)? I campi pro­fu­ghi in Libia non si faranno. Ci sono già: sono quelli da cui si imbar­cano a decine di migliaia. Chi o che cosa potreb­bero mai otte­nere che non suc­ceda più? L’occupazione di tutta la costa libica? Ci vuole quella guerra che l’Onu per ora non per­mette; ma che poi, comun­que, biso­gne­rebbe vin­cere. Ma l’ultima guerra con­tro la Libia l’Europa in realtà l’ha persa. Così, sarebbe comun­que il deserto a inghiot­tire i pro­fu­ghi e migranti tenuti lon­tani dal mare (e dal nostro sguardo: chi si è mai pre­oc­cu­pato dei morti nel deserto, che sono già ora di più di quelli anne­gati in mare?). E magari, biso­gne­rebbe anche ricac­ciare verso i ter­ri­tori occu­pati dallo Stato Isla­mico i pro­fu­ghi accam­pati in Libano, Gior­da­nia e Tur­chia prima che cer­chino anche loro di rag­giun­gere l’Europa.

Oppure, si può smet­tere di sal­varli in mare, o respin­gerli con la forza quando chie­dono aiuto. Cioè farli anne­gare. In sostanza la pro­po­sta vera è que­sta, e si chiama ster­mi­nio. Ma alcuni, anzi molti, riu­sci­reb­bero comun­que a rag­giun­gere i nostri porti. Li si affonda lì? Davanti ai turi­sti che fanno il bagno? Senza nean­che capire che un’accoglienza come quella inau­gu­rata dalla sin­daca di Lam­pe­dusa è riu­scita a sal­vare sia turi­smo che vite umane?

Oppure, ancora, si adotta la linea Maroni, Zaia e Toti e si nega l’apertura di rico­veri decenti nelle regioni a cui i pro­fu­ghi sono stati desti­nati. Spin­gen­doli così ad accam­parsi nelle sta­zioni e nei giar­di­netti e, se ven­gono cac­ciati anche di lì, a spo­starsi in altre sta­zioni e in altri giar­di­netti (in una giran­dola come quella impo­sta ai campi rom): affi­dan­doli alle cure di quei tanti cit­ta­dini e asso­cia­zioni che mostrano ancora una grande voglia di aiu­tarli (ciò che dà ancora spe­ranza di poter costruire una società soli­dale). Ma met­ten­doli anche alla mercé di squa­dracce decise a farla pagare a quei disgra­ziati, rei di essersi sal­vati da una guerra, dal mare e dalle tor­ture inflitte loro durante il loro viaggio.

La super­fi­cia­lità, l’inconsistenza e la cri­mi­na­lità tanto delle solu­zioni della Lega e delle destre euro­pee quanto delle non-soluzioni dei governi ita­liani ed euro­pei è una dram­ma­tica spia del tarlo che rode da anni l’edificio dell’Unione Euro­pea. Vent’anni fa era già stato detto che, se non si fos­sero adot­tate misure ade­guate, pro­fu­ghi e migranti dall’Africa e dal Medio Oriente ci avreb­bero rag­giunti anche a nuoto. Ora quel momento è arri­vato e si parla solo di come fer­marli o far­gli inver­tire rotta; ma nes­suno ha ancora detto come. La solu­zione finale, lo ster­mi­nio dei pro­fu­ghi in mare o in Libia o nel deserto, ciò che l’Europa si era impe­gnata a non per­met­tere mai più, è inac­cet­ta­bile. Ma l’accoglienza non basta, se non è inse­rita in un dise­gno di paci­fi­ca­zione e risa­na­mento dei paesi da cui pro­ven­gono: un dise­gno che abbia il suo punto di forza pro­prio nelle comu­nità espa­triate. Per que­sto occorre che pro­fu­ghi e migranti non ven­gano vis­suti come un ingom­bro, o facendo finta che non esi­stano. Biso­gna aiu­tarli a inse­rirsi nel tes­suto sociale e a rico­struire i legami con le loro comu­nità nazio­nali; ad abi­tare in luo­ghi decenti, ammi­ni­strando da soli i fondi desti­nati alla loro per­ma­nenza; non con­dan­narli a un ozio for­zato, pro­muo­vendo per loro vere oppor­tu­nità di lavoro, sia volon­ta­rio che retri­buito (ma per far que­sto biso­gna pro­muo­vere oppor­tu­nità ana­lo­ghe di lavoro e di red­dito anche per tutti i cit­ta­dini ita­liani). E occorre costruire con loro, attra­verso i loro resi­dui legami con i paesi di ori­gine, un per­corso di paci­fi­ca­zione, a par­tire dal blocco delle for­ni­ture di armi che ali­men­tano le guerre da cui sono fug­giti. Get­tando così insieme le basi di una grande comu­nità euro-mediterranea ed euro-africana, su cui rico­struire una nuova Unione, e un nuovo governo dell’Unione, quando quello attuale avrà dovuto pren­der atto del suo fallimento.



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