Nuovo piano greco, il gelo di Bru­xel­les

Nuovo piano greco, il gelo di Bru­xel­les

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Tra l’ottimismo di Atene e Parigi e il pes­si­mi­smo di Ber­lino e Bru­xel­les il momento è deli­cato per il nego­ziato tra il governo greco e i suoi cre­di­tori inter­na­zio­nali. Poche ore prima dell’incontro di oggi in cui Ale­xis Tsi­pras dovrà discu­tere con Angela Mer­kel e Fran­cois Hol­lande ancora una volta su come porre fine alla crisi del debito di Atene, è utile ripe­tere che per il governo greco il nodo è venuto al pet­tine, tenendo conto i sem­pre più pesanti pro­blemi di liqui­dità; ma anche per i cre­di­tori inter­na­zio­nali le opzioni non sono migliori. A que­sto va aggiunto che Tsi­pras, mal­grado l’inesperienza di governo, è un inter­lo­cu­tore dif­fi­cile e sicu­ra­mente non è, al con­tra­rio dei suoi pre­de­ces­sori, uno «yes man».

La Gre­cia ha pre­sen­tato ieri un testo aggiun­tivo di quat­tro pagine che riguar­dano il nuovo piano di riforme che aveva pro­messo ai suoi cre­di­tori dell’Ue e del Fmi, ma fino alla tarda serata di ieri non c’è stata una rea­zione uffi­ciale da parte delle «isti­tu­zioni». Secondo l’agenzia Bloom­berg alti uffi­ciali del Brus­sels Group che hanno visto le contro-proposte gre­che le hanno carat­te­riz­zate ancora una volta come «insuf­fi­cienti». Da notare che i cre­di­tori «si accin­gono ora a stu­diare» il testo elle­nico due giorni dopo che il pre­si­dente della Com­mis­sione euro­pea Jean-Claude Junc­ker si era lamen­tato del fatto che Tsi­pras non aveva adem­piuto all’impegno di inviare a Bru­xel­les il piano assun­tosi in una riu­nione della scorsa settimana.

In que­sto ambito verso una solu­zione poli­tica, come vor­rebbe Tsi­pras e tec­ni­ca­mente cor­retta, come vor­reb­bero i cre­di­tori, è utile valu­tare il momen­tum, — un passo dall’ intesa finale oppure dalla rot­tura– per­ché nono­stante nes­suno sem­bri dispo­sto a far mar­cia indie­tro, ambe­due le parti esclu­dono l’eventualità di un «Gre­xit», che sem­bra quasi l’ovvia con­se­guenza di una rot­tura delle trat­ta­tive. Per­ché in realtà nes­suno, né la lea­der­ship dell’Ue, né il pre­mier greco la vor­reb­bero. Le con­se­guenze di un tra­collo finan­zia­rio, che sia «Gre­xit» o «Gre­xi­dent» come è già stato notato, sareb­bero gravi per Atene, per tutta l’eurozona. Già oltre il 50% della popo­la­zione in Gre­cia, secondo un son­dag­gio pre­sen­tato mar­tedì scorso dal canale tele­vi­sivo Sky, esprime timori per l’uscita del Paese dall’Ue, nono­stante oltre il 60% abbia soste­nuto di appog­giare la tat­tica nego­ziale di Tsi­pras. Non a caso Barak Obama preme Angela Mer­kel e com­pa­gnia per una solu­zione immediata.

Del resto il patto sta die­tro l’angolo: sem­bra che sia un’intesa sulla ridu­zione del sur­plus pri­ma­rio, sull’aumento delle impo­ste indi­rette (Iva), men­tre sono ancora sulla tavola del nego­ziato argo­menti, non certo tra­scu­ra­bili, anzi di pri­ma­ria impor­tanza, che riguar­dano soprat­tutto il sistema delle pen­sioni e le riforme al mer­cato del lavoro. Le misure pro­po­ste mirano al blocco delle pre­pen­sio­na­menti, l’aumento dell’etá pen­sio­na­bile, la ridu­zione dell’ammontare di tutte le pen­sioni (e non solo delle più ele­vate), la pro­gres­siva fusione dei fondi pen­sione che sono rima­sti ancora indipendenti.

Argo­menti sui quali c’è sol­tanto una par­ziale intesa (Atene rifiuta di adot­tare misure restrit­tive per le pen­sioni e per il diritto del lavoro, come chie­sto dai cre­di­tori) e per i quali a livello finan­zia­rio la dif­fe­renza tra le due pro­po­ste, quella greca e quella dei cre­di­tori, è pari a 700 milioni di euro, per altri risale ai 2,5 miliardi di euro, equi­va­lente al 1,5% del Pil greco.
Vale a dire che le due parti sareb­bero pronte a fir­mare l’accordo com­pleto, che sia ponte, di pro­lun­ga­mento dell’attuale pro­gramma o altro, nel caso che tro­vino un’ intesa su come coprire que­sto «buco economico».

Ciò nono­stante è meglio evi­tare un’altra pre­vi­sione anche se negli ultimi giorni la stampa inter­na­zio­nale mette la pros­sima sca­denza il 14 giu­gno, per­ché un (even­tuale) accordo dovrà essere rati­fi­cato dai par­la­menti dei paesi dell’eurozona.

Ma più cre­sce l’eventualità di un’ intesa, più si inten­si­fi­cano le rea­zioni den­tro a Syriza, a tal punto che si espri­mono timori che un accordo basato su un «com­pro­messo ono­re­vole», come vorebbe Tsi­pras, non potrà essere rati­fi­cato con i voti della mag­gio­ranza par­la­men­tare. Il por­ta­voce gover­na­tivo, Gabriel Sakel­la­ri­dis e il nuovo segre­ta­rio del Syriza, Tas­sos Koro­na­kis con­si­de­rano ovvia l’esistenza di voci diverse, ma è altret­tanto evi­dente la pre­oc­cu­pa­zione per­ché le inter­pre­ta­zioni su cosa vuol dire «com­pro­messo ono­re­vole» sono diverse.

La «Piat­ta­forma di Sini­stra», la più forte tra le com­po­nenti di Syriza, ha sem­pre avuto una posi­zione cri­tica, par­lando addi­rit­tura di un ritorno alla dracma. «Se la Gre­cia esce dall’eurozona non sarà la cata­strofe» scrive nel suo sito la «Piat­ta­forma di sini­stra». Il suo lea­der, Panayo­tis Lafa­za­nis, mini­stro della Ristrut­tu­ra­zione e dell’Energia non perde occa­sione per sot­to­li­neare che «abbiamo alter­na­tive anche senza accordo». E l’alternativa secondo Lafa­za­nis sareb­bero Mosca, Pechino, New Delhi.

Già a que­sto pro­po­sito la Rus­sia si accinge a effet­tuare un paga­mento anti­ci­pato per la costru­zione del gasdotto Tur­kish Stream che pas­se­rebbe dal ter­ri­to­rio elle­nico verso il resto dell’Europa, pro­vo­cando la netta rea­zione di Washing­ton che senza mezzi scru­poli ha chie­sto pochi giorni fa da Atene di annul­lare tali progetti.

Clima di pre­oc­cu­pa­zione per il con­te­nuto dell’eventuale accordo anche al gruppo par­la­men­tare. Già 44 dai 149 par­la­men­tari si erano espressi con­tro la nomina di Elena Pana­ri­tis al posto di rap­pre­sen­tante della Gre­cia presso il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale. La pro­po­sta era stata fatta dal mini­stro delle finanze, Yanis Varou­fa­kis (Pana­ri­tis, ex depu­tato socia­li­sta è con­si­gliere del mini­stro) e appro­vata da Ale­xis Tsi­pras, ma dopo le pro­te­ste, «in quanto le sue opi­nioni sono in con­flitto con il pro­gramma del par­tito», Pana­ri­tis si é dimessa.



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