Riflessione in Vaticano La possibile apertura a un codice dei diritti
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CITTÀ DEL VATICANO Non è più il tempo delle barricate, semmai quello della riflessione. Niente panico. «La mentalità è profondamente cambiata. Ma non per questo i credenti devono lasciarsi intimidire da quelle che vengono viste come sconfitte né perdere l’entusiasmo e la gioia del Vangelo, come anche il senso dell’accoglienza e dell’amore verso tutti». L’arcivescovo teologo Bruno Forte, confermato dal Papa segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, considera il quadro generale: «Si tratta di un processo culturale di secolarizzazione spinta nel quale l’Europa è pienamente coinvolta». E bisogna guardarlo in faccia: oggi, per dire, all’Università Gregoriana di Roma è previsto un seminario teologico a porte chiuse organizzato in tutta riservatezza dagli episcopati di Germania, Francia e Svizzera. Si parlerà dei temi più controversi in vista della seconda tappa sinodale di ottobre, sacramenti ai divorziati risposati e accoglienza degli omosessuali. Tra gli artefici della riunione c’è anche il cardinale Reinhard Marx, membro del Consiglio di nove cardinali che il Papa ha voluto accanto a sé nonché presidente della conferenza episcopale tedesca, tra le più riformiste d’Europa.
Nelle risposte mandate a Roma per il documento preparatorio al Sinodo — proprio questa settimana in Vaticano si comincerà a fare sintesi dei testi arrivati da tutto il mondo — i vescovi tedeschi hanno scritto: «In Germania le convivenze omosessuali hanno uno status diverso da quello del matrimonio («unioni civili»). Il loro riconoscimento si basa su un largo consenso sociale che viene sostenuto anche dalla maggioranza dei cattolici». Fra l’altro, «i fedeli si aspettano che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, venga accettata dalla Chiesa come dalla società e che nelle parrocchie venga creato un clima di stima nei confronti di ognuno».
La questione sta diventano più che mai urgente per la Chiesa in Italia, uno dei pochi Paesi europei a non avere leggi in materia. All’assemblea della Cei, la scorsa settimana, Francesco ha chiesto di «uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana». Ma ha distinto i ruoli, si tratta di lasciare ai fedeli laici le «responsabilità che a loro competono», il tempo degli interventi diretti è finito: «I laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo. Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore».
Oltre allo stile, sta cambiando anche la linea tracciata nella Cei, ai tempi della battaglia contro i Dico, dall’allora presidente Camillo Ruini: bastano i diritti individuali, no alle unioni civili, nessun riconoscimento alle coppie omosessuali. Certo l’anima più «agonistica» resta presente, tra i vescovi italiani. Ma ci sono stati segnali differenti. Proprio Bruno Forte, al Sinodo scorso, spiegava che la Chiesa non può accettare «l’equiparazione tout-court, anche terminologica, col matrimonio», ma questo «non significa escludere la ricerca di una codificazione di diritti a persone che vivono in unioni omosessuali: è un discorso di civiltà e rispetto della dignità delle persone».
Il problema, nel caso, è come arrivarci. Non si può accettare che la «famiglia costituzionale, con padre madre e figli» finisca «in un angolo», diceva al Corriere il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Nessuna «equiparazione», nessun «cavallo di Troia». Questa è la premessa: «Cominciamo a dire che cosa è la famiglia, cosa appartiene a una realtà e cosa a un’altra, poi faremo altri discorsi». Confrontarsi senza scontri ideologici, il «metodo sinodale» evocato da Galantino.
E distinguere. «Invitiamo l’Europa a riflettere con serietà: cosa si sta facendo per una politica familiare adeguata? Io non la vedo, basta pensare al gelo demografico», ha detto ieri il cardinale di Milano Angelo Scola: «Manca in Europa un dibattito serio su cosa siano i diritti oggi. Nessuno vuol togliere i diritti a nessuno, il problema è intendersi sulla differenza tra i vari diritti».
Nelle risposte mandate a Roma per il documento preparatorio al Sinodo — proprio questa settimana in Vaticano si comincerà a fare sintesi dei testi arrivati da tutto il mondo — i vescovi tedeschi hanno scritto: «In Germania le convivenze omosessuali hanno uno status diverso da quello del matrimonio («unioni civili»). Il loro riconoscimento si basa su un largo consenso sociale che viene sostenuto anche dalla maggioranza dei cattolici». Fra l’altro, «i fedeli si aspettano che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, venga accettata dalla Chiesa come dalla società e che nelle parrocchie venga creato un clima di stima nei confronti di ognuno».
La questione sta diventano più che mai urgente per la Chiesa in Italia, uno dei pochi Paesi europei a non avere leggi in materia. All’assemblea della Cei, la scorsa settimana, Francesco ha chiesto di «uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana». Ma ha distinto i ruoli, si tratta di lasciare ai fedeli laici le «responsabilità che a loro competono», il tempo degli interventi diretti è finito: «I laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo. Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore».
Oltre allo stile, sta cambiando anche la linea tracciata nella Cei, ai tempi della battaglia contro i Dico, dall’allora presidente Camillo Ruini: bastano i diritti individuali, no alle unioni civili, nessun riconoscimento alle coppie omosessuali. Certo l’anima più «agonistica» resta presente, tra i vescovi italiani. Ma ci sono stati segnali differenti. Proprio Bruno Forte, al Sinodo scorso, spiegava che la Chiesa non può accettare «l’equiparazione tout-court, anche terminologica, col matrimonio», ma questo «non significa escludere la ricerca di una codificazione di diritti a persone che vivono in unioni omosessuali: è un discorso di civiltà e rispetto della dignità delle persone».
Il problema, nel caso, è come arrivarci. Non si può accettare che la «famiglia costituzionale, con padre madre e figli» finisca «in un angolo», diceva al Corriere il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Nessuna «equiparazione», nessun «cavallo di Troia». Questa è la premessa: «Cominciamo a dire che cosa è la famiglia, cosa appartiene a una realtà e cosa a un’altra, poi faremo altri discorsi». Confrontarsi senza scontri ideologici, il «metodo sinodale» evocato da Galantino.
E distinguere. «Invitiamo l’Europa a riflettere con serietà: cosa si sta facendo per una politica familiare adeguata? Io non la vedo, basta pensare al gelo demografico», ha detto ieri il cardinale di Milano Angelo Scola: «Manca in Europa un dibattito serio su cosa siano i diritti oggi. Nessuno vuol togliere i diritti a nessuno, il problema è intendersi sulla differenza tra i vari diritti».
Gian Guido Vecchi
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