Istat, una ripresa che stenta a vedersi

Istat, una ripresa che stenta a vedersi

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Gli isti­tuti sta­ti­stici uffi­ciali, durante il mese di mag­gio, for­ni­scono le prime stime di crescita-decrescita di Pil, occu­pa­zione, inve­sti­menti, con­sumi e infla­zione. Sono pre­vi­sioni da maneg­giare con cura
Troppe volte abbiamo letto e discusso dati che tro­vano un fon­da­mento nei modelli eco­no­mici di rife­ri­mento, ma poco coe­renti con l’andamento dell’economia reale. Dopo la crisi del 2007 tutte le pre­vi­sioni eco­no­mi­che hanno matu­rato una cre­scente distanza dai valori effet­ti­va­mente con­se­guiti a poste­riori, soprat­tutto negli inve­sti­menti. Se il sistema eco­no­mico vive la più lunga e pro­fonda crisi del capi­ta­li­smo, uti­liz­zare i modelli del pas­sato asso­mi­glia molto alla sto­riella dell’ubriaco che di notte si mette a cer­care una chiave sotto al lam­pione solo per­ché è illuminato.

Ovvia­mente la sta­ti­stica ha rigide norme, ma, alla fine, gli “scien­ziati” fanno le cose che cono­scono. Un bel pro­blema se il qua­dro di rife­ri­mento è pro­fon­da­mente cam­biato. C’è poi un pro­blema comu­ni­ca­tivo. La pre­vi­sione di cre­scita degli inve­sti­menti per il trien­nio 2015–17, più 7,5%, è impres­sio­nante. Tutti i gior­nali ripor­tano l’informazione con grande enfasi. La stessa cosa è fatta per il PIL: 0,7% per il 2015 e 1,2% per il 2016. Siamo pro­prio sicuri che sia il modo migliore per spie­gare que­sti dati?

Con­si­de­riamo solo gli inve­sti­menti. Se nel bien­nio 2013–14 gli inve­sti­menti sono dimi­nuiti del 9,3%, vuol dire che nel trien­nio 2015–17 sono più bassi del 12,6% del bien­nio 2013–14. Se poi con­si­de­ras­simo i volumi, gli inve­sti­menti dell’Italia sono del 34% più bassi del 2007 (S. De Nar­dis, Nomi­sma). Inol­tre, qual­cuno deve spie­gare la distanza tra le stime euro­pee e quelle nazio­nali. Per­ché l’Europa pre­vede una cre­scita degli inve­sti­menti per il 2016 del 4,1%, men­tre l’Istat rimane ferma al 2,5%, con un tasso di disoc­cu­pa­zione sostan­zial­mente iden­tico (12%) che, ricordo, nel primo tri­me­stre del 2015 è salito al 13%?

Un altro modo per leg­gere le pre­vi­sioni di crescita-decrescita dell’Istat è quello di com­pa­rarli con le pre­vi­sioni di altri Paesi. Solo in que­sto modo pos­siamo real­mente capire come l’Italia rea­gi­sce ai così detti impulsi esterni legati alla sva­lu­ta­zione dell’euro, del prezzo del petro­lio e del Qe (quan­ti­ta­tive easing). Se con­si­de­riamo solo il Pil, l’euro area cre­sce dell’1% nel 2014, dell’1,8% nel 2015 e dell’1,6% nel 2016, con­tro il meno 0,4% nel 2014, una mode­sta cre­scita dello 0,7% nel 2015 e dell’1,2% nel 2016 dell’Italia. L’Italia è uscita dalla crisi? Forse è più cor­retto dire che il Paese cre­sce meno della media euro­pea di 0,6% nel 2014, di 1,1% nel 2015 e di 0,6% nel 2016.

Rac­con­tata in que­sto modo la realtà ita­liana assume un’altra dimen­sione. L’Italia da tempo non è più un Paese euro­peo, men­tre la cre­scita della domanda interna, legata alla distri­bu­zione del red­dito pri­ma­ria e alla cre­scita della disoc­cu­pa­zione reale, ormai pros­sima a 6 milioni di per­sone, è una fra­zione di quella europea.

Ma l’Istat è un isti­tuto serio. Nel comu­ni­cato sulle pre­vi­sioni eco­no­mi­che sug­ge­ri­sce, invo­lon­ta­ria­mente, una pre­ziosa infor­ma­zione: «Gli Stati Uniti hanno con­ti­nuato a bene­fi­ciare degli effetti posi­tivi deri­vanti dagli sti­moli di natura fiscale e monetaria».

Vuol dire che le poli­ti­che restrit­tive hanno appro­fon­dito la crisi in Europa, men­tre le poli­ti­che espan­sive fun­zio­nano. Forse meno di quello che sarebbe lecito atten­dersi, ma non hanno tra­sci­nato nella povertà e nella disoc­cu­pa­zione una bella fetta di popolazione.


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