Fondò Reporters Sans Frontières. Da sindaco scheda i bimbi musulmani
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PARIGI Il 64,5 per cento degli allievi di Béziers sono musulmani, secondo il sindaco di estrema destra della città del Sud della Francia, Robert Ménard. Come fa a saperlo? «Sono le cifre del municipio che dirigo — ha detto Ménard nel corso di un dibattito in tv —. Mi spiace ma il sindaco ha i nomi, classe per classe, dei bambini. So che non si può ma lo faccio lo stesso». Un’affermazione che può costare cara al fondatore di Reporters sans Frontières entrato in politica vicino al Front National: schedare i cittadini su base etnica o confessionale in Francia è illegale dal 1978 e può portare a una condanna di cinque anni di carcere o 300 mila euro di multa. Ma prima ancora delle conseguenze penali, Ménard ha da temere una possibile destituzione dall’incarico di sindaco: ieri è stato interrogato per oltre un’ora nel commissariato di Montpellier, e infatti sta tentando una complicata marcia indietro.
Nato 61 anni fa a Orano, nostalgico dell’Algeria francese come di un paradiso perduto, Ménard sostiene che a Béziers (circa 72 mila abitanti) gli immigrati (quasi tutti provenienti dal Nordafrica) sono troppi, e che l’integrazione è quindi impossibile.
Ecco perché il sindaco ha prodotto in più occasioni, prima in un’intervista al giornale Midi Libre poi nel talk show Mots Croisés , la cifra di due terzi di bambini di origine islamica. «I nomi di battesimo bastano a indicare l’origine — sostiene Ménard —: se ti chiami Maria, non sei musulmana».
La discussione sul divieto di statistiche etniche anima la Francia da vent’anni, e il caso Ménard è una buona illustrazione delle ragioni di quanti ancora difendono quel tabù. Il timore è che, come in questo caso, l’identità etnica non venga rivendicata ma subìta dal cittadino. Non sono i bambini a proclamarsi musulmani, è il sindaco a indicarli come tali analizzando i loro nomi, allo scopo di giudicarli francesi di serie B e bollarli come inadatti all’integrazione.
«La schedatura degli allievi è contraria a tutti i valori della Repubblica», ha detto il presidente François Hollande. «Vergogna — ha twittato il premier Manuel Valls —, la Repubblica non fa alcuna distinzione tra i suoi bambini».
Ménard non è nuovo a iniziative controverse, un mese fa ha tappezzato la città con gigantesche immagini di una pistola e la scritta «ormai la polizia municipale ha una nuova amica». Ma la questione delle statistiche non è chiusa: molti trovano ingiusto che non sia possibile conoscere il numero delle persone di origine straniera che vivono in Francia.
In passato lo stesso Manuel Valls si è dichiarato favorevole a un’abolizione o almeno a un alleggerimento del divieto, per permettere ai ricercatori di analizzare la società e aiutare così a ridurre le discriminazioni. Nascondere le differenze per legge non basta a farle scomparire davvero, sostengono studiosi come la demografa Michèle Tribalat, spesso citata dal Front National. Ma un conto è condurre ricerche sociologiche sulla diversità, un altro usare criteri discutibili come il nome per schedare i bambini.
Stefano Montefiori
Nato 61 anni fa a Orano, nostalgico dell’Algeria francese come di un paradiso perduto, Ménard sostiene che a Béziers (circa 72 mila abitanti) gli immigrati (quasi tutti provenienti dal Nordafrica) sono troppi, e che l’integrazione è quindi impossibile.
Ecco perché il sindaco ha prodotto in più occasioni, prima in un’intervista al giornale Midi Libre poi nel talk show Mots Croisés , la cifra di due terzi di bambini di origine islamica. «I nomi di battesimo bastano a indicare l’origine — sostiene Ménard —: se ti chiami Maria, non sei musulmana».
La discussione sul divieto di statistiche etniche anima la Francia da vent’anni, e il caso Ménard è una buona illustrazione delle ragioni di quanti ancora difendono quel tabù. Il timore è che, come in questo caso, l’identità etnica non venga rivendicata ma subìta dal cittadino. Non sono i bambini a proclamarsi musulmani, è il sindaco a indicarli come tali analizzando i loro nomi, allo scopo di giudicarli francesi di serie B e bollarli come inadatti all’integrazione.
«La schedatura degli allievi è contraria a tutti i valori della Repubblica», ha detto il presidente François Hollande. «Vergogna — ha twittato il premier Manuel Valls —, la Repubblica non fa alcuna distinzione tra i suoi bambini».
Ménard non è nuovo a iniziative controverse, un mese fa ha tappezzato la città con gigantesche immagini di una pistola e la scritta «ormai la polizia municipale ha una nuova amica». Ma la questione delle statistiche non è chiusa: molti trovano ingiusto che non sia possibile conoscere il numero delle persone di origine straniera che vivono in Francia.
In passato lo stesso Manuel Valls si è dichiarato favorevole a un’abolizione o almeno a un alleggerimento del divieto, per permettere ai ricercatori di analizzare la società e aiutare così a ridurre le discriminazioni. Nascondere le differenze per legge non basta a farle scomparire davvero, sostengono studiosi come la demografa Michèle Tribalat, spesso citata dal Front National. Ma un conto è condurre ricerche sociologiche sulla diversità, un altro usare criteri discutibili come il nome per schedare i bambini.
Stefano Montefiori
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