L’America Latina è meno diseguale

L’America Latina è meno diseguale

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Alla recente Cum­bre de Las Ame­ri­cas tenu­tasi a Panama, Obama si è pre­sen­tato con uno spi­rito nuovo verso il Cono Sur. Quello che tra­di­zio­nal­mente era il giar­dino di casa, vit­tima abi­tuale dell’imperialismo yan­quí, final­mente diventa un inter­lo­cu­tore del Pre­si­dente Usa nella nuova stra­te­gia di dia­logo, come testi­mo­niato dall’apertura verso Cuba (e paral­le­la­mente verso l’Iran che di molti paesi dell’area è alleato), dalla nomina di un dele­gato spe­ciale per appog­giare il nego­ziato tra il governo colom­biano e la guer­ri­glia delle Farc e natu­ral­mente dalla rego­la­riz­za­zione degli immi­grati lati­nos negli Usa.

Tut­ta­via, il pano­rama che si è tro­vato di fronte era deso­lante: se Obama stesso non gode di grande popo­la­rità in casa, il con­senso dei prin­ci­pali lea­der regio­nali è in pic­chiata, con pochis­sime eccezioni.

Il gigante regio­nale bra­si­liano è tra­volto dallo scan­dalo di cor­ru­zione legato a Petro­bras che minac­cia di essere il più grande fal­li­mento indu­striale della sto­ria, Michelle Bache­let (Cile) è stata pro­fon­da­mente toc­cata da uno scan­dalo di cor­ru­zione che risale all’epoca di Pino­chet, il Mes­sico è attra­ver­sato da una crisi pro­fonda dopo lo scan­dalo dei desa­pa­re­ci­dos di Ayo­tzi­napa, l’Argentina è in preda a con­vul­sioni poli­ti­che per gli affari opa­chi dei Kirch­ner (e della recente morte del pub­blico mini­stero che inda­gava su un pre­sunto insab­bia­mento da parte del governo), il Peru affronta una grave crisi poli­tica legata a pre­sunto spio­nag­gio, il Vene­zuela è sull’orlo di una guerra civile e per­sino Evo Mora­les, seb­bene ricon­fer­mato, ha perso la roc­ca­forte indi­gena di El Alto, segno di discon­tento nella base.

Che cosa suc­cede all’America Latina? La vul­gata rac­conta di un con­ti­nente diviso tra la nuova sini­stra boli­va­riana (il Mer­co­sur allar­gato di Argen­tina, Bra­sile, Uru­guay, Para­guay, Boli­via e Vene­zuela) e un blocco di destra che difende le ricette neo­li­be­rali (l’Alianza del Paci­fico di Colom­bia, Cile, Mes­sico e Peru).

Se stiamo ai dati, il Suda­me­rica degli anni zero è un Paese meno dise­guale e più ricco: la cre­scita reale cumu­lata del Pil dal 2000 al 2013 (dati Cepal) è stata del 50% per la regione, e del 64% in Argen­tina, del 50% in Bra­sile, del 70% in Colom­bia, Cile ed Ecua­dor, del 100% circa in Peru. L’occupazione nei prin­ci­pali Paesi è aumen­tata in media di due punti per­cen­tuali (dal 2004) e l’informalità urbana si è ridotta dai due ai quat­tro punti. L’indice di Gini, che misura la disu­gua­glianza del red­dito, è sceso ovun­que (seb­bene ancora a livelli altis­simi in com­pa­ra­zione inter­na­zio­nale): di sei-sette punti in media dal 2000 al 2013 per i Paesi del Mer­co­sur allar­gato e di quat­tro in media per quelli dell’Alianza del Pacifico.

Dal punto di vista debi­to­rio, in ter­mini quan­ti­ta­tivi la situa­zione sem­bre­rebbe tutt’altro che allar­mante: il debito pub­blico è dimi­nuito per tutti i Paesi (per­sino per il Vene­zuela è sta­bile) nel decen­nio e tranne per il caso del Bra­sile (60% del Pil) è in ter­mini quan­ti­ta­tivi molto ridotto, e quello esterno si è ridotto sen­si­bil­mente fino al 2008 per poi sta­bi­liz­zarsi. Per quest’ultimo, il livello per i paesi “neo­li­be­rali” varia tra 13 (Cile) e 30 punti di Pil (Mes­sico, Peru e Colom­bia), men­tre la situa­zione è in attivo per Argen­tina, Boli­via e Vene­zuela e debi­to­ria per Uru­guay (10%), Para­guay (40%) e Bra­sile (30%).

In realtà è il futuro che si pro­spetta oscuro. Il Suda­me­rica è la dimo­stra­zione lam­pante che i vin­coli di com­pa­ti­bi­lità macroe­co­no­mici che si sban­die­rano come patente di respon­sa­bi­lità sono una legit­ti­ma­zione dell’ordine inter­na­zio­nale esistente.

Tutti i Paesi hanno ridotto la disu­gua­glianza per la sem­plice ragione che, come accadde nel secolo breve euro­peo, esi­steva un’alternativa di sistema. Per quanto raf­faz­zo­nato e con­trad­dit­to­rio possa sem­brare il socia­li­smo del XXI secolo, le fasce più povere vede­vano un cam­bio e chie­de­vano risul­tati. Tutti i Paesi hanno così defi­nito poli­ti­che soprat­tutto orien­tate all’istruzione, nella forma dei tra­sfe­ri­menti foca­liz­zati e con­di­zio­nali, con il bol­lino della Banca Mon­diale. Il risul­tato è stato posi­tivo per­ché nel pano­rama deso­lante, il per­met­tere a un bam­bino di man­giare rego­lar­mente migliora le per­for­mance sco­la­sti­che e a lungo ter­mine la pro­dut­ti­vità. Nes­sun Paese ha però dele­git­ti­mato il modello estrat­ti­vi­sta come canale d’inserzione nei mer­cati inter­na­zio­nali: sull’onda dell’esplosione del prezzo del Petro­lio (Vene­zuela e Colom­bia), del gas (Boli­via), delle merci agri­cole (Argen­tina, Bra­sile, Cile), dell’oro (Colom­bia e Peru) e del rame (Cile) que­sti Paesi sono cre­sciuti e hanno finan­ziato le poli­ti­che sociali.

Nes­suno tut­ta­via ha fatto poli­ti­che indu­striali, ridu­cendo ovun­que la diver­si­fi­ca­zione dell’economia. Con l’inversione dei prezzi inter­na­zio­nali delle com­mo­di­ties e in attesa che l’irrigidimento della poli­tica mone­ta­ria Usa cambi la desti­na­zione dei flussi inter­na­zio­nali di capi­tali, que­sti Paesi non hanno come finan­ziare l’import né la poli­tica sociale. Lo spa­zio fiscale sarebbe immane, visto che nes­suno rie­sce a rac­co­gliere più del 3% del Pil con le impo­ste dirette sulle per­sone, ma poli­ti­ca­mente è impra­ti­ca­bile. Con i livelli di con­cen­tra­zione del red­dito pre­sente nella regione, le impo­ste andreb­bero desti­nate a quell’oligarchia che con­trolla l’esercito, molte regioni interne e natu­ral­mente i prin­ci­pali mezzi di comu­ni­ca­zione, che l’ipocrita opi­nione pub­blica occi­den­tale si sbrac­cia a difen­dere con­tro i bava­gli. E guarda caso l’unica strada alter­na­tiva rimane la defla­zione interna, cioè l’austerità, che can­cel­lerà con un colpo di mano i pro­gressi di que­sto decennio.



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