L’ammissione di errore di Obama, all’insegna della trasparenza, non evita accuse, polemiche e sospetti attorno a questa tragedia. Non certo la prima: da anni i droni lasciano dietro di sé una scia sanguinosa di stragi di civili, talvolta anche di cittadini americani. È senza spiegazioni in questo caso il ritardo d’informazione: la morte di Lo Porto — che era prigioniero di Al Qaeda da tre anni — risale a più di tre mesi fa. Per la precisione al 15 gennaio, nella valle di Shawal, una zona del Pakistan in mano a fazioni tribali. I dettagli, data e luogo, li forniscono però i servizi segreti pachistani, non la Casa Bianca. Perché 98 giorni di ritardo? In occasioni precedenti, bastarono poche settimane per le indagini su un blitz di droni “finito male”. Lo stesso Obama stavolta ha saputo molto tardi: il capo della Cia John Brennan lo ha informato solo la settimana scorsa. Anche sulle impronte digitali della Cia in questa operazione disastrosa, il presidente rimane discreto, non ne fa cenno nella sua dichiarazione in sala stampa, dove parla genericamente di “antiterrorismo”. Saranno i suoi collaboratori, in briefing separati e cosiddetti di “background” — informazioni attribuibili alla Casa Bianca senza nominare i funzionari — a dare qualche dettaglio in più. Ma non l’ubicazione del blitz. Quella è coperta da accordi segreti Usa-Pakistan che risalgono al 2004. È la sola Cia ad avere da 11 anni il diritto di condurre operazioni segrete nelle zone tribali del Pakistan, in una “terra di nessuno” anche sotto il profilo giuridico. Questa carta bianca concessa alla Cia non ha subito modificazioni rilevanti neppure dopo il deterioramento dei rapporti diplomatici tra l’America e il Pakistan, una potenza nucleare che scivola sempre di più verso l’orbita della Cina. Anche se i droni della Cia sul Pakistan furono inaugurati da George W. Bush, è sotto Obama che hanno avuto un’espansione notevole. È sempre Obama ad essere stato protagonista della prima spaccatura grave con il Pakistan, all’epoca dell’uccisione di Osama Bin Laden: un blitz di cui le autorità locali vennero informate solo dopo la conclusione. Da allora c’è stata un’escalation di proteste ogni volta che i droni facevano stragi di civili.
Ora le polemiche arrivano nel cuore degli Stati Uniti. Elaine Weinstein, la moglie dell’americano ucciso, ha accusato il governo non solo per il drone-killer ma anche per quel che era accaduto durante la sua prigionia: «Per tre anni e mezzo ci hanno abbandonati ». Dura l’American Civil Liberties Union, la più importante associazione per i diritti umani: «In queste operazioni l’America non sa neppure chi sta ammazzando. C’è un divario evidente, tra le regole severe che il governo dice di usare per gli attacchi dei droni, e i criteri seguiti nella realtà». Diverse indagini indipendenti hanno denunciato in passato le inefficienze della Nsa: il Grande Fratello digitale che presiede alla raccolta di dati, intercettazioni e spionaggio elettronico, è la fonte principale di informazioni che la Cia usa per i droni. Il bilancio è in queste cifre ufficiali: 473 civili uccisi, “danni collaterali”, su un totale di 6.500 morti negli attacchi dei droni Usa. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ieri ha annunciato che le famiglie delle vittime riceveranno indennizzi e anticipato la possibile «necessità di apportare ulteriori cambiamenti ai protocolli». Negli attacchi di droni sono morti anche due americani militanti di Al Qaeda. Uno di questi era diventato una celebrità: Adam Gadahn, detto “Azzam l’Americano”, 36enne della California, era nipote di un celebre medico ebreo militante di un’associazione che combatte l’antisemitismo. Gadahn si era convertito all’Islam all’età di 17 anni, di recente era uno degli addetti alla propaganda di Al Qaeda.