L’Ilva ammette il disastro ambientale e chiede di patteggiare

L’Ilva ammette il disastro ambientale e chiede di patteggiare

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Ilva in ammi­ni­stra­zione straor­di­na­ria prova a evi­tare il pro­cesso “Ambiente Sven­duto”. Attra­verso una richie­sta di pat­teg­gia­mento da pre­sen­tare al gup Wilma Gilli, che per il momento i tre com­mis­sari hanno pro­po­sto al mini­stero dello Svi­luppo eco­no­mico. Que­sto per­ché l’Ilva dallo scorso 21 gen­naio è appunto in ammi­ni­stra­zione straor­di­na­ria con­cessa dal mini­stero gui­dato da Fede­rica Guidi, che nelle pros­sime set­ti­mane si espri­merà sulla pro­po­sta (che in caso di accet­ta­zione sarà auto­riz­zata tra­mite decreto), dopo l’eventuale ok del comi­tato di sorveglianza.

I tre com­mis­sari hanno messo a punto una mossa giu­di­zia­ria ambi­va­lente. Da un lato infatti, con la richie­sta di pat­teg­gia­mento, la nuova diri­genza ammette le respon­sa­bi­lità dei Riva nella gestione dell’Ilva che ha cau­sato il disa­stro ambien­tale per cui l’azienda è stata, in quanto per­sona giu­ri­dica, iscritta nel regi­stro degli inda­gati e per la quale la Pro­cura di Taranto ha chie­sto al gup Gilli il rin­vio a giu­di­zio. Dall’altro però, que­sta mossa evi­te­rebbe all’azienda il processo.

Que­sto vor­rebbe in par­ti­co­lar modo evi­den­ziare uno spar­tiac­que tra la vec­chia Ilva a con­du­zione fami­liare del gruppo Riva, per cui l’ex patron Emi­lio defunto lo scorso anno, e i figli Fabio e Nicola sono coin­volti nel pro­cesso insieme ad altri impu­tati con l’accusa di asso­cia­zione a delin­quere fina­liz­zata al disa­stro ambien­tale, e la nuova Ilva affi­data dal governo ai tre com­mis­sari Piero Gnudi, Cor­rado Car­rubba ed Enrico Laghi.

Un’azione che tra l’altro pare essere anche e soprat­tutto un segnale di disten­sione nei con­fronti della Pro­cura di Taranto, visto che sia pure ope­rando in ambiti diversi, com­mis­sari e magi­strati sono rap­pre­sen­tanti dello Stato. Alcune fonti infatti hanno addi­rit­tura avan­zato la pos­si­bi­lità che i com­mis­sari e la Pro­cura di Taranto (a comin­ciare dal pro­cu­ra­tore capo Franco Seba­stio), pos­sano con­cor­dare nelle pros­sime set­ti­mane un docu­mento da pre­sen­tare al gup Gilli. L’Ilva (che tra l’altro è già stata esclusa dalla respon­sa­bi­lità civile dopo l’ingresso in ammi­ni­stra­zione straor­di­na­ria) è impu­tata in base alla legge 231 del 2011 sulla respon­sa­bi­lità delle imprese: la pena pre­vi­sta in que­sti casi è una san­zione pecu­nia­ria com­mi­su­rata al capi­tale della società. Pena che potrebbe anche essere di sva­riate cen­ti­naia di milioni di euro. In realtà sareb­bero pre­vi­ste anche san­zioni acces­so­rie come la sospen­sione dell’esercizio dell’impresa, ma è chiaro che dopo ben sette decreti varati dai vari governi negli ultimi tre anni per tenere in piedi l’Ilva, que­sto non avverrà. È molto più pro­ba­bile infatti che saranno nomi­nate figure tec­ni­che che con­trol­lino la situa­zione per conto dell’autorità giudiziaria.

Infine, si deve ricor­dare che un bene seque­strato per un reato che ottiene una sen­tenza di con­danna defi­ni­tiva, viene con­fi­scato dallo Stato: una volta avve­nuto ciò, il governo potrà nazio­na­liz­zare in via defi­ni­tiva l’Ilva o ven­derla a un pri­vato senza più osta­coli di sorta.
Certo è che dif­fi­cil­mente qual­cuno pagherà il risar­ci­mento danni alla città e ai taran­tini. Così come per le boni­fi­che esterne allo sta­bi­li­mento. Per quelle interne, si attende spe­ran­zosi di otte­nere i quasi 2 miliardi di euro seque­strati ai Riva dalla Pro­cura di Milano. Ancora oggi custo­diti nelle casse delle ban­che sviz­zere e dei para­disi fiscali.



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