Sudafrica Rabbia e caccia agli stranieri Fine del Paese arcobaleno?
Persino Robert Mugabe, il padre-padrone dello Zimbabwe, più volte criticato dal governo sudafricano (e dallo stesso Mandela) per la durezza del suo regime, si è sentito in dovere di indirizzare una protesta verso Pretoria. «Vorrei esprimere il nostro choc e disgusto nell’esecrare gli incidenti accaduti a Durban dove cinque o sei persone sono state arse vive da membri della comunità zulu», ha detto nel corso di una cerimonia per il 35esimo anniversario dell’indipendenza dello Zimbabwe. «Tali atti non possono essere perdonati. Non devono mai più accadere in Sudafrica o in qualsiasi altro Paese del Continente».
La storia recente del Sudafrica, tuttavia, è costellata di atti di xenofobia. Sin dal ritorno alla democrazia, nei momenti di maggiore tensione economica, i quartieri dove migliaia di «stranieri», africani provenienti soprattutto da Zimbabwe e Mozambico ma anche da Paesi più lontani come il Malawi, il Congo e altri, venivano indicati da folle inferocite come i «responsabili» di tutti i mali del momento. «Gli stranieri ci rubano il lavoro, gli stranieri ci rubano il pane» sono gli slogan che in un attimo trasformano una baraccopoli in un campo di battaglia. Gli immigrati, per lo più illegali, sono affrontati nei loro negozi di beni a buon mercato, oppure inseguiti nelle strade e costretti a parlare per rivelare la loro origine. A quel punto, la sentenza è scritta e il fuoco l’arma della «giustizia sommaria».
Paradosso nel paradosso. Il Sudafrica, con i suoi 50 milioni di abitanti e un dieci per cento (stimato) di stranieri, resta, nonostante le enormi disparità economiche, la disoccupazione endemica nelle aree popolate soprattutto da neri, un faro nell’Africa australe che attira ogni anno migliaia di disperati in fuga dalla guerra, dalla carestia, o semplicemente dalla normale miseria del Paese natale. Un contesto in cui le mafie impegnate nel traffico di esseri umani prosperano: e questo non sorprende proprio .
Paolo Salom
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