Kamikaze contro la polizia a Istanbul Ancora sangue nel giorno del lutto

Kamikaze contro la polizia a Istanbul Ancora sangue nel giorno del lutto

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Doveva essere la giornata del dolore ieri ad Istanbul con migliaia di persone in lacrime davanti al Palazzo di giustizia per i funerali del procuratore Mehmet Selim Kiraz, e, invece, si è trasformata in un nuovo incubo con i cittadini in preda a momenti di isteria collettiva, impauriti all’idea di vivere di qui al giorno delle elezioni politiche, il 7 giugno, tra continui attentati e falsi allarmi.
«Quello che è successo in un solo giorno in Turchia riempirebbe un giornale scandinavo per un mese», aveva commentato ieri su Hurriyet l’analista Murat Yetkin senza sapere che la giornata avrebbe riservato ancora diverse «sorprese».
In mattinata, nella parte asiatica della città, solitamente tranquilla, un uomo armato ha fatto irruzione nella sede locale del partito islamico Akp minacciando di uccidere tutti i dipendenti se non fossero usciti dall’edificio. Le forze speciali turche sono riuscite a fermarlo solo dopo che aveva rotto un paio di vetri ed esposto una bandiera turca sulla quale era stata aggiunta una sorta di scimitarra. Un simbolo sicuramente estraneo alla Turchia moderna creata da Mustafa Kemal Atatürk e anche ai terroristi del Dhkp-C che martedì avevano sequestrato il magistrato Kiraz, rimasto poi ucciso durante il blitz per liberarlo.
La tensione ha raggiunto livelli inaspettati nel pomeriggio quando un uomo e una donna hanno attaccato la questura centrale della megalopoli sulla Vantan Caddesi, nel quartiere di Fatih, uno dei distretti più conservatori della città, roccaforte dell’Akp. La questura è una specie di Alcatraz e i due attentatori non si illudevano certo di espugnarla. L’intento, probabilmente, era solo di colpire un luogo simbolo. In men che non si dica, infatti, una strada centrale della città si è trasformata in una zona di guerra. La gente, in attesa davanti agli uffici, si è tuffata, gridando, all’interno. Nello scontro a fuoco la terrorista, che pare indossasse un giubbotto esplosivo, si è subito accasciata al suolo, senza vita. Il suo compagno d’armi, invece, seppur ferito, ha cercato di scappare ma è stato arrestato.
Il Paese è sgomento e le ipotesi che circolano, sia sugli attacchi sia sul maxi black-out di martedì, sono delle più disparate. C’è chi parla di un ritorno della strategia della tensione, quella che in passato ha portato a colpi di Stato militari e repressioni feroci. Secondo alcuni l’improvvisa impennata di violenza giocherebbe a favore di Erdogan spingendo gli elettori, oggi in fuga verso i nazionalisti del Mhp, a votare per la «stabilità» del partito al potere. I sondaggi danno l’Akp in forte perdita di consensi (39-40% contro il 50% delle politiche del 2011). E quelle di giugno sono elezioni che «il sultano» deve assolutamente vincere se vuole cambiare la costituzione in senso presidenziale.
Ieri il premier Ahmet Davutoglu ha parlato «di un asse del male che cerca di creare un’atmosfera di caos prima del voto ma — ha aggiunto — noi siamo abbastanza forti da stanarli». Detto, fatto. A Antalya, Eskisehir, Smirne sono scattate le manette ai polsi di decine di presunti simpatizzanti del gruppo di estrema sinistra Dhkp-C e all’Università di Istanbul 26 giovani sono stati arrestati per aver esposto su un muro la fotografia di uno dei due sequestratori del giudice.
È sera e la città si rallegra per l’elettricità ripristinata, ma quello che si stenta a ritrovare è la calma. «Cosa potrà mai accadere domani?» è la domanda che tutti si fanno.
Monica Ricci Sargentini


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