Pensioni: uscite flessibili «Tagliola» contributiva, assegni più bassi del 23%
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ROMA Nel giorno in cui l’Inps vara la circolare per l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, per cui dal 2016 bisognerà aspettare 4 mesi in più per lasciare il lavoro ( a 66 anni e 7 mesi), l’istituto guidato da Tito Boeri lancia una nuova puntata dell’operazione «trasparenza». Protagonisti i dirigenti delle aziende private, già iscritti all’Inpdai, confluito nel 2003 nell’Inps per evitare il crac. Su questa categoria Boeri ha simulato per prima il ricalcolo della pensione col metodo contributivo, scoprendo che l’88% delle pensioni incorpora un di più rispetto ai contributi versati e che in media gli assegni sono “maggiorati” del 23,4%, pari a una spesa in più di quasi un miliardo e mezzo di euro all’anno.
In tv a «Otto e mezzo» Boeri ha detto che dal ricalcolo e da un prelievo sulle pensioni più alte si potrebbero ricavare risorse a favore di chi ha più bisogno. Il presidente ha anche annunciato un piano di proposte che a giugno presenterà al governo per reintrodurre «flessibilità» nell’età di pensione, così da consentire il pensionamento prima, ma con un assegno più basso.
Le pensioni ex Inpdai
L’Inps paga 126.580 pensioni a ex dirigenti d’azienda, per un importo medio annuo di 50.206 euro lordi (circa 2.800 netti al mese). Fino al 1995 il regime Inpdai garantiva una pensione pari all’80% della retribuzione dopo 30 anni di contributi, contro i 40 necessari agli altri lavoratori dipendenti. Ricalcolando le pensioni dei dirigenti integralmente col metodo contributivo (che si applica a chi ha cominciato al lavorare dopo il 1995) si ottiene, dice l’Inps, «che l’88% delle pensioni subirebbe una riduzione» mentre il 12% un aumento. Per quasi un assegno su 5 il taglio sarebbe superiore al 40%. In media queste pensioni perderebbero il 23,4%. Per esempio, un dirigente andato in pensione a 58 anni nel 1990 con 3.585 euro, nel 2015 ha ottenuto circa 1.521 euro lordi al mese in più di quello che avrebbe preso col contributivo. Un dirigente in pensione a 63 anni nel 2013 con 5.820 euro, 676 euro in più.
Le nuove età di uscita
Dal primo gennaio 2016 ci vorranno quattro mesi in più per andare in pensione. È il risultato dell’adeguamento all’aspettativa media di vita introdotto da una legge del 2010 (governo Berlusconi) per rafforzare la sostenibilità finanziaria del sistema. Ieri l’Inps ha diffuso la circolare applicativa dello scatto deciso lo scorso dicembre con un decreto interministeriale (Economia-Lavoro). I 4 mesi in più si sommano sia al minimo d’età richiesto per la pensione di vecchiaia sia al minimo di anni di contributi per la pensione anticipata. Questo significa che dal primo gennaio 2016 ai lavoratori dipendenti maschi, sia del privato sia del pubblico, e ai lavoratori autonomi per andare in pensione di vecchiaia non basteranno più 66 anni e tre mesi d’età, come fino alla fine del 2015, ma ci vorranno 66 anni e sette mesi (oltre a un minimo di 20 venti anni di contributi). Stessa cosa per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, mentre per quelle del settore privato l’aumento, sempre nel 2016, sarà più forte perché segue uno specifico percorso di armonizzazione fissato dalla legge, che prevede un aumento da 63 anni e 9 mesi, valido fino al termine del 2015, a 65 anni e 7 mesi. Discorso analogo per le lavoratrici autonome che passeranno dagli attuali 64 anni e 9 mesi a 66 anni e un mese dal primo gennaio 2016. Per la pensione anticipata, invece, ci vorranno 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.
Enrico Marro
Le pensioni ex Inpdai
L’Inps paga 126.580 pensioni a ex dirigenti d’azienda, per un importo medio annuo di 50.206 euro lordi (circa 2.800 netti al mese). Fino al 1995 il regime Inpdai garantiva una pensione pari all’80% della retribuzione dopo 30 anni di contributi, contro i 40 necessari agli altri lavoratori dipendenti. Ricalcolando le pensioni dei dirigenti integralmente col metodo contributivo (che si applica a chi ha cominciato al lavorare dopo il 1995) si ottiene, dice l’Inps, «che l’88% delle pensioni subirebbe una riduzione» mentre il 12% un aumento. Per quasi un assegno su 5 il taglio sarebbe superiore al 40%. In media queste pensioni perderebbero il 23,4%. Per esempio, un dirigente andato in pensione a 58 anni nel 1990 con 3.585 euro, nel 2015 ha ottenuto circa 1.521 euro lordi al mese in più di quello che avrebbe preso col contributivo. Un dirigente in pensione a 63 anni nel 2013 con 5.820 euro, 676 euro in più.
Le nuove età di uscita
Dal primo gennaio 2016 ci vorranno quattro mesi in più per andare in pensione. È il risultato dell’adeguamento all’aspettativa media di vita introdotto da una legge del 2010 (governo Berlusconi) per rafforzare la sostenibilità finanziaria del sistema. Ieri l’Inps ha diffuso la circolare applicativa dello scatto deciso lo scorso dicembre con un decreto interministeriale (Economia-Lavoro). I 4 mesi in più si sommano sia al minimo d’età richiesto per la pensione di vecchiaia sia al minimo di anni di contributi per la pensione anticipata. Questo significa che dal primo gennaio 2016 ai lavoratori dipendenti maschi, sia del privato sia del pubblico, e ai lavoratori autonomi per andare in pensione di vecchiaia non basteranno più 66 anni e tre mesi d’età, come fino alla fine del 2015, ma ci vorranno 66 anni e sette mesi (oltre a un minimo di 20 venti anni di contributi). Stessa cosa per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, mentre per quelle del settore privato l’aumento, sempre nel 2016, sarà più forte perché segue uno specifico percorso di armonizzazione fissato dalla legge, che prevede un aumento da 63 anni e 9 mesi, valido fino al termine del 2015, a 65 anni e 7 mesi. Discorso analogo per le lavoratrici autonome che passeranno dagli attuali 64 anni e 9 mesi a 66 anni e un mese dal primo gennaio 2016. Per la pensione anticipata, invece, ci vorranno 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne.
Enrico Marro
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