Vent’anni di precarietà
Dagli anni novanta i governi sia di centrodestra sia di centrosinistra hanno introdotto diversi cambiamenti nel mercato del lavoro: riforma delle pensioni, pacchetto Treu, legge Biagi, legge Fornero e Jobs act sono i principali interventi che, con ottica bipartisan, hanno cambiato il mondo del lavoro. Utilizzando i dati Istat, si nota come l’occupazione — che include i dipendenti a tempo indeterminato, a tempo determinato, gli interinali e i datori di lavoro che partecipano attivamente nell’impresa ma esclude il lavoro atipico — sia cambiata molto nel tempo.
Le oltre 21,5 milioni di posizioni lavorative del 1990, nel 2014 aumentano di circa un milione di unità, con un incremento complessivo di appena cinque punti percentuali. Il tasso di occupazione negli anni resta costante, registrando una variazione massima nel 2008 (58,6%) rispetto al 1990 (54,9%), mentre nel 2014 registra un aumento di un solo punto percentuale (56%). La maggior presenza di donne e immigrati sono stati i due elementi di novità. I dati mostrano una crescita sostenuta delle donne occupate con un incremento complessivo di oltre venti punti percentuali fra il 2014 e il 1990. Invece gli occupati extracomunitari fra il 2004 e il 2014 passano da 965mila a oltre 2,3 milioni.
Il tasso di disoccupazione possiede un andamento discontinuo accelerando nei primi anni novanta fino al picco dell’11,3% nel 1990. Da allora la disoccupazione si riduce fino al 2008 (6,1%) per poi tornare in crescita con la recessione e le politiche di austerità che la riportano stabilmente al di sopra del 10% con oltre 1,6 milione di persone in cerca di lavoro. In pochi anni la disoccupazione torna ai valori dei primi anni novanta, ma con un’occupazione più precaria e con minori garanzie. I contratti di lavoro dipendente a tempo determinato, liberalizzati dal secondo governo Berlusconi e i contratti interinali, prendono piede assai rapidamente e nell’arco di dieci anni crescono costantemente fino a raggiungere nel 2014 un livello assai maggiore rispetto al 2004 (+56%). Al contrario i contratti a tempo indeterminato registrano in dieci anni un incremento assai minore, pari all’8%.
L’occupazione negli anni non premia né il Mezzogiorno né i giovani. Dal 1990 gli occupati nel Sud si riducono fino a scendere nel 2014 dell’8%. Le donne nel Sud aumentano la loro partecipazione ma con miglioramenti inferiori alla media nazionale: registrano un picco nel 2012 (+19% rispetto al 1990), che poi nel 2014 si ridimensiona al 12%.
Gli occupati, con età compresa fra i 15 e i 24 anni, diminuiscono ogni anno e nel 2014, il loro livello di occupazione si è ridotto di oltre due terzi rispetto al 1990: i quasi 3 milioni di giovani occupati nel novanta diventano appena un milione nel 2014.
Anche se i più giovani con gli anni si riducono di numero per la dinamica demografica il mercato del lavoro riesce ad assorbirne sempre pochi tanto che il tasso di disoccupazione per i lavoratori fra i 15 e i 24 anni , pari al 27% nel 1990, pur subendo qualche riduzione fino al 2008 tocca picchi maggiori del 40% tra il 2013 e il 2014.
Il fenomeno di meno occupati, meno disoccupati e maggior tasso di disoccupazione fra i giovani si spiega anche per il diffondersi del fenomeno dei Neet oltre all’affermarsi di forme di lavoro atipiche non contabilizzate negli indicatori tradizionali.
Oltre 1,4 milioni di giovani fra i 15 e i 24 anni e 3,7 milioni fra i 15 e i 34 anni nel 2014 hanno scelto di rimanere fuori dal mercato del lavoro e dal circuito della formazione e dell’istruzione. La flessibilità non sembra in grado di attrarli e farli tornare attivi: fra il 2004 e il 2014, i numeri ufficiali evidenziano un incremento del 41% dei Neet con 15–24 anni e del 24% per quelli con 15 e i 34 anni.
Degli oltre 1,2 milioni di collaboratori attivi nel 2013, circa 600 mila non possiedono caratteristiche professionali definite, mentre gli altri in gran parte appartengono agli amministratori di società, e in misura minore a categorie specifiche quali i dottorandi e i medici specializzandi. Circa 80 mila giovani fra i 18 e i 24 anni svolgono collaborazioni nel 2013, assieme ad oltre 200 mila ultrasessantenni. Il mondo del lavoro atipico passa trasversalmente fra le generazioni, facilitando il ritorno nel mondo del lavoro dei pensionati e creando sacche di precariato fra i giovani. Degli oltre 179 mila collaboratori esclusivi che erano attivi nel 2000, solo il 36% dopo tredici anni ha raggiunto un contratto a tempo indeterminato, mentre la maggior parte è uscita dal mondo del lavoro.
Ad oggi tutte le promesse delle riforme del lavoro non sono state mantenute, dalla flexicurity, mai realizzata dal ministro Fornero, ai sussidi universali, ventilati a inizio legislatura e oggi sepolti fra le carte del Parlamento. La riforma del Jobs act non sembra far altro che precarizzare tutti sferrando un nuovo colpo ai diritti dei lavoratori, in attesa della prossima miracolosa riforma.
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