America, Fer­gu­son tutti i giorni

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Poco prima del ricordo di Obama della mar­cia di Selma, un altro nero veniva ucciso negli Stati uniti. E ieri, pochi giorni dopo le imma­gini dell’Alabama e il discorso del pre­si­dente Usa, un’altra vit­tima. Un altro afroa­me­ri­cano, disar­mato, ucciso dalla polizia.

Il mes­sag­gio sem­bra essere diretto pro­prio al pre­si­dente: la sua ele­zione non ha cam­biato niente, o ha cam­biato dav­vero poco.

L’ennesimo caso
La vit­tima è un uomo che — in stato con­fu­sio­nale, pro­ba­bil­mente malato di mente — si aggi­rava nudo nel com­plesso di appar­ta­menti di Atlanta dove viveva. Un agente dopo averlo richia­mato, anzi­ché usare il taser, ha spa­rato due volte, ucci­den­dolo. L’agenzia inve­sti­ga­tiva della Geor­gia, Gbi, ha avviato un’inchiesta.

Secondo la rico­stru­zioni for­nita da Cedric Ale­xan­der, diret­tore del dipar­ti­mento della pub­blica sicu­rezza della con­tea di Atlanta, la poli­zia era inter­ve­nuta dopo che alcuni resi­denti del palazzo ave­vano denun­ciato la pre­senza di un «uomo sospetto» che bus­sava alle porte e si aggi­rava nudo.

«Non è stata rin­ve­nuta nes­suna arma», ha ammesso Ale­xan­der, spie­gando che l’uomo si è sca­gliato con­tro il poli­ziotto ed ha igno­rato gli avver­ti­menti a fermarsi.

Selma is now
Un ponte inti­to­lato ad un Grand Wizard del Ku Klux Klan que­sta set­ti­mana è tor­nato ad essere il cen­tro d’America. Il Bloody Sun­day sull’Edmund Pet­tus bridge fece di Selma, Ala­bama il sim­bolo mon­diale del raz­zi­smo e della lotta per l’emancipazione dei neri ame­ri­cani; 50 anni dopo su quello stesso ponte il cin­quan­te­na­rio è stato com­me­mo­rato da un pre­si­dente afroamericano.

Quale evento potrebbe espri­mere con più dida­sca­lica sim­me­tria — con hol­ly­woo­diana per­fe­zione — la nar­ra­zione ame­ri­cana di ingiu­sti­zia e reden­zione e pro­gresso sociale? Se fosse stata scritta in una sce­neg­gia­tura sarebbe pro­ba­bil­mente stata respinta come inve­ro­si­mile. Lo stesso Mar­tin Luther King il reve­rendo che su quel ponte aveva por­tato i suoi free­dom fighters quando era pro­fonda retro­via segre­ga­zio­ni­sta non avrebbe potuto — pur con tutta la fede nel dream — imma­gi­nare una più sim­bo­lica ricorrenza.

Emer­genza raz­zi­smo
Il cin­quan­te­na­rio è caduto nel mezzo una enne­sima emer­genza raz­zi­smo. Oggi un nuovi cor­tei invece di «we shall over­come» urlano «Black Lives Mat­ter!». «Le nostre vite con­tano», scan­di­scono i mili­tanti del movi­mento con­tro la strage non tanto silen­ziosa di neri ad opera della polizia.

E le pri­gioni stra­ri­pano di pri­gio­nieri dalla pelle scura. Dei quasi 2 milioni e mezzo di dete­nuti più del 40% sono discen­denti di schiavi. E come ha detto John Legend dal palco degli Oscar, ci sono più neri (1.7 milioni) sotto restri­zioni coatte oggi che schiavi nel 1850 (870.000).

La lunga mar­cia dell’America dal pec­cato ori­gi­nale della schia­vitù è diven­tato un sorta di misura mon­diale di ingiu­sti­zia e pro­gresso sociale. Giu­sta­mente, data la lam­pante con­trad­di­zione con la nar­ra­zione nazio­nale di libertà e feli­cità, pre­de­sti­na­zione e eccez­zio­na­li­smo. La strada è tor­tuosa: 50 anni fa ha attra­ver­sato il Pet­tus e que­sto fine set­ti­mana è di nuovo pas­sata per quel ponte.

E gra­zie alla corte suprema alcune bat­ta­glie dovranno venire com­bat­tute da capo. Una recente sen­tenza ha abro­gato l’articolo 5 del voting rights act la legge sulla pari oppor­tu­nità di voto­strap­pata col san­gue di Selma. La clau­sola sta­bi­liva che gli stati ex segre­ga­zio­ni­sti doves­sero pas­sare il vaglio fede­rale prima di imporre limiti alla iscri­zione elet­to­rale. Ma i con­ser­va­tori ame­ri­cani hanno ogni inte­resse a limi­tare il voto delle mino­ranze che sono parte inte­grante dell coa­li­zione pro­gres­si­sta e ora hanno un modo in più per farlo.

Passi indie­tro
È un grave passo indie­tro e non è solo que­sto. Nel wee­kend di Selma un ragazzo nero disar­mato, l’ennesimo, in Wiscon­sin, è stato ammaz­zato da un poli­ziotto. Una comi­tiva di uni­ver­si­tari dell’Oklahoma in gita è stata fil­mata men­tre inneg­giava al lin­ciag­gio dei neri. Legend l’oscar lo ha rice­vuto per Glory, la can­zone del film che rie­voca Selma; la regi­sta Ava Du Ver­nay lo ha dedi­cato ai ragazzi di Fer­gu­son. Lo stesso Obama ha tenuto a dire «Selma is Now», tutto è ancora in gioco.

La strada è ancora lunga e se c’è una ultima lezione da appren­dere da Selma è che 50 anni dopo il Pet­tus, oggi non è più solo l’America a doverla per­cor­rere — tutto l’occidente deve riu­scire a fare lo stesso cammino.



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