Ucciso con il machete lo scrittore del Bangladesh che chiedeva «laicità»

Ucciso con il machete lo scrittore del Bangladesh che chiedeva «laicità»

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«Avijit Roy vive in America e quindi non è possibile ucciderlo subito. Lo ammazzeremo quando tornerà» aveva minacciato su Facebook un tale Shafiur Rahman Farabi. La promessa è stata macabramente mantenuta.
Ieri Avijit Roy, blogger e scrittore laico, è stato ucciso a colpi di machete da due sconosciuti a Dacca. Sotto choc la moglie che era al suo fianco: è salva ma ha perso un dito nel tentativo di difenderlo.
Cittadino americano di origine bengalese, «ingegnere di professione e scrittore per passione», come si definiva su Facebook, Roy non si era fatto intimidire: era rientrato nel suo Paese pochi giorni fa per presentare alla Fiera del libro il suo «Biswaser Virus» (Il virus della fede). Quel virus impazzito che ha portato alla strage di bambini nella scuola di Peshawar e all’attacco a Charlie Hebdo, come scriveva lui in un tweet a gennaio. Nel mirino il fondamentalismo religioso, fenomeno montante in Bangladesh, Paese grande come metà Italia ma con 160 milioni di abitanti, per il 90% musulmani.
Il suo blog «Mukto-Mona» (Mente libera), un inno alla laicità e alla libertà di espressione, è «in lutto». Campeggia solo una scritta su fondo nero: «Siamo addolorati ma non sconfitti». Non aveva la sfrontatezza dei caricaturisti di Charlie, Roy. E nemmeno era un fondamentalista dell’ateismo, come Richard Dawkins. «Roy era sensibile alle credenze della gente e pensava che offendere le persone era un approccio sbagliato», dice chi lo conosceva bene, come lo scrittore anglo-bengalese Ahsan Akbar. «Era un uomo gentile che voleva promuovere la scienza», i suoi «meravigliosi scritti in Bengali» erano un tentativo di istruire il popolo senza attaccare direttamente la religione, dice.
Ma il Bangladesh è alle prese con un’avanzata di gruppi estremistici che vogliono zittire ogni voce critica dell’Islam. L’omicidio di Roy è l’ultimo di una serie.
«L’uccisione di Avijit dimostra che c’è una cultura dell’impunità, il governo deve arrestare i killer o le proteste andranno avanti a oltranza» ha tuonato Imran Sarker, leader dei manifestanti scesi in piazza ieri a Dacca. Un’ulteriore miccia in un Paese dove è alta la tensione per la mobilitazione avviata da oltre un mese dall’alleanza dei partiti di opposizione contro il governo. E i gruppi radicali potrebbero sfruttare lo scontro per rafforzarsi ulteriormente.
Alessandra Muglia


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