Palestina chi?
Il governo Renzi, la Camera, quasi tutti i partiti — ad eccezione di Sel e M5S -, con straordinaria doppiezza non hanno mancato l’occasione di portare sul palcoscenico delle istituzioni italiane una pessima sceneggiata sul riconoscimento simbolico della Palestina. Che, è bene ricordarlo, non è contesa, ma occupata militarmente. Si trattava di una decisione senza alcun effetto concreto ma dall’indubbio valore politico e simbolico, già presa senza particolari sussulti dai parlamenti di Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Francia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, dallo stesso Europarlamento e dal governo svedese.
Invece, con un imbroglio che poteva realizzare solo l’ambiguità patologica sulla questione mediorientale di gran parte delle forze politiche italiane, la Camera ha approvato due testi in evidente contrapposizione: la mozione del Pd e quella dei centristi di Area popolare (Ncd e Udc) e Scelta civica.
La prima impegna il governo a continuare a sostenere l’obiettivo della Costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato d’Israele. La seconda che condiziona l’indipendenza palestinese al raggiungimento di un’intesa tra Fatah e Hamas. Il governo Renzi incredibilmente si è espresso a favore di entrambe, soprattutto per salvaguardare l’unità della compagine di governo Pd-Ncd, nel disprezzo dei palestinesi.
Amaro il commento dai Territori Occupati di Hanan Ashrawi, a nome dell’Olp: «È infelice che la risoluzione non si impegni per l’incondizionato e ufficiale riconoscimento dello Stato di Palestina. Chiediamo al governo italiano di riconoscere lo Stato palestinese senza condizioni». Per Israele al contrario il voto della Camera è un successo.
Il governo Netanyahu nei mesi scorsi aveva contestato i riconoscimenti dei parlamenti europei non tanto per i loro effetti pratici, inesistenti, ma perché in essi scorgeva una attenzione verso i diritti del popolo assoggettato, tenuto da decenni sotto occupazione militare. Vi leggeva una solidarietà umana pericolosa, che mette in discussione le sue politiche, a cominciare dalla colonizzazione. Il governo Renzi e la maggior parte della Camera ieri hanno deciso di non riconoscere i palestinesi come titolari di diritti uguali a quelli di tutti gli altri popoli. Hanno sentenziato che i palestinesi non potranno mai essere liberi se gli occupanti israeliani non lo vorranno. Non si possono tralasciare le dichiarazioni fatte nelle settimane passate da un buon numero di deputati ed esponenti politici italiani, non solo della destra anche del Pd, che hanno definito lo Stato di Palestina «prematuro», come se la questione palestinese fosse sorta ieri e non fosse sul tavolo della politica mondiale da molti decenni. E non è mancato chi, spinto da razzismo malcelato e dall’islamofobia dilagante, ha messo in guardia dalla nascita di uno «altro Stato islamico», accostando in modo strumentale i palestinesi all’Isis, proprio come fa il premier Netanyahu giustificare le sue politiche.
Comprensibile dunque alla fine la soddisfazione dell’ambasciata israeliana a Roma: «Accogliamo positivamente la scelta del Parlamento italiano di non riconoscere lo Stato palestinese e di aver preferito sostenere il negoziato diretto fra Israele e i palestinesi, sulla base del principio dei due Stati, come giusta via per conseguire la pace». Più chiaro di così.
Due Stati. Parole magiche che hanno fatto sognare una ventina di anni fa, quando furono firmati gli Accordi di Oslo. Ma che sono rimaste lettera morta, sepolta sotto tante troppe guerre d’aggressione israeliana, senza dimenticare l’assassinio del leader israliano Rabin per mano di un estremista ebreo. Insieme a tante intifada e rivolte, anche violente, palestinesi represse.
Se solo si intravede la scena reale di rovine della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, ecco che appare la barbarie che il pasticcio di ieri alla Camera fa finta di non vedere. Muri di separazione, check point militari ai quali si consuma il tempo di chi deve muoversi per vivere, con migliaia di detenuti politici spesso in sciopero della fame che nessuno ha mai voluto raccontare, e milioni di profughi maltrattati in ogni luogo di fuga, che non hanno più il diritto di tornare in patria. Con tante colonie trasformate in avamposti militari israeliani. Così tante che la loro ragnatela di fatto impedisce ormai la continuità territoriale di quello che un tempo era rivendicato come Stato di Palestina.
Oggi dietro le parole promesse dei «due Stati», si nasconde quello che come manifesto denunciamo ogni giorno: la colonizzazione israeliana che fagocita la Cisgiordania e Gerusalemme Est e l’esproprio di terre e risorse naturali palestinesi. Così appare come un miraggio, un’Araba Fenice, la proclamazione, nessuno sa quando, di uno staterello palestinese con un territorio a macchia di leopardo, privo di sovranità reale sul suo territorio e le sue frontiere, senza uno spazio aereo, di fatto dominato ancora da Israele. Ma «riconosciuto» dall’Occidente. Sarebbe un «bantustan a sovranità limitata» secondo la denuncia di Ilan Baruch mediatore israeliano di Oslo arrivato a Roma la scorsa settimana convinto di impegnare i parlamentari italiani a votare il «riconoscimento dello Stato di Palestina, come diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese», forte anche dell’appello eguale lanciato da mille intellettuali israeliani, guidati dagli scrittori Grossman, Oz e Yeoshua. Non è valso a nulla.
L’esito sul quale puntano il primo ministro Netanyahu e una porzione significativa di partiti israeliani — che ringraziano il parlamento italiano — è un cambiamento per non cambiare nulla. Su questo poco o nulla riflettono anche quelle rarissime forze politiche italiane che ieri dentro e fuori dalla Camera appoggiavano con sincerità il riconoscimento della Palestina e del suo popolo. Davvero un giorno infelice.
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