Il Nobel e il premier Sen contro Modi “Colpisce la libertà nel mio ateneo”
CALCUTTA. UN FULMINE a cielo (apparentemente) sereno: Amartya Sen, 81 anni, Nobel per l’economia nel 1998, in una lettera aperta ai prestigiosi colleghi dell’Università internazionale di Nalanda, nello Stato indiano di Bihar, comunica la rinuncia a proseguire nel suo ruolo di rettore. Dubita che il governo di Narendra Modi intenda liberarsi di lui ed è persuaso che tenda a invadere il campo degli studi. La lettera suscita scalpore, per l’autorità del mittente e perché Nalanda, riaperta nove secoli dopo la distruzione musulmana nel luogo della “prima università al mondo”, in cui Buddha aveva insegnato, è la sua creatura. «Ci penso da quando avevo 11 anni».
Sen, il cui mandato scadrà a luglio, denuncia un ritardo deliberato nell’invio della ratifica della nomina al Presidente dell’India, Pranab Mukherjee, da parte del governo. Del resto, cinque anni dopo la fondazione, finanziata anche da Cina, Singapore, Australia e altri Paesi asiatici, Nalanda ha cominciato i corsi — per ora due soltanto, Storia ed Ecologia — solo nel settembre scorso, e con 15 iscritti in tutto (cinque donne), «ma molto bravi» (così Sen). Il ministero degli Esteri, responsabile della trasmissione della nomina al Presidente, ha smentito l’intenzione di allontanare Sen o di dilazionare il suo rinnovo. D’altra parte un esponente di spicco del partito di Modi, l’ex ministro Subramanian Swamy, vorrebbe rimuovere dai posti pubblici i «cosiddetti Nri (Indiani Non Residenti, ndr ) obbedienti a interessi e ideologie straniere»: poco meno che un’accusa di alto tradimento. Scrive Sen: «Come ricorderete, c’era stata parecchia inquietudine nel nostro consiglio perché era evidente come il governo non apprezzasse il carattere internazionale dell’Università». C’è un precedente politico prossimo nella campagna elettorale del 2014, conclusa con un trionfo del Bjp. Sen si era augurato la sconfitta di Modi, ritenendolo incapace di garantire i diritti delle minoranze. (Che cosa voglia dire minoranze, quando si tratta dell’India, è facile capire: la comunità musulmana è la seconda al mondo per numero, dopo l’indonesiana).
Amartya Sen, «orgoglioso e impegnato cittadino dell’India», è, oltre che un importante pensatore (e gran cittadino ad onore dell’Italia e dell’Europa), un uomo buono. La pretesa che la sua protesta sia una mossa contro le insinuazioni di esponenti del Bjp sullo sperpero di fondi nella gestione dell’università, ha le gambe cortissime. Piuttosto, la sua denuncia viene in un momento delicato, nonostante il partito di Modi abbia stravinto nel maggio scorso. In questo febbraio, le elezioni a New Delhi — che non è uno dei 29 Stati della federazione, ma solo uno dei sette Territori, tuttavia col peso che gli viene dalla capitale — hanno segnato il trionfo dell’Aap, il partito dell’uomo comune, di Arvind Kejriwal che si è aggiudicato 67 seggi su 70 in nome della lotta alla corruzione. In un’intervista al Times of India Sen dice di aver votato in passato per la sinistra, e che oggi voterebbe per l’Aap. Riconosce a Modi di aver rianimato una speranza che il partito del Congresso, la dinastia dei Gandhi, aveva spento, ma senza corrisponderle nei fatti. A Kejriwal riconosce la capacità di imparare dagli errori e la sensibilità ai bisogni dei poveri. Si dice allarmato dall’influenza di una formazione di estremisti del nazionalismo indù nel governo, fino alle rivalutazioni di Nathuram Godse, il loro esponente che nel 1948 assassinò Gandhi. Segnala gli attacchi recenti alle chiese a Delhi e altrove (denunciati anche da Modi), e la progressiva riduzione della laicità nella vita pubblica.
Nel 2013, Sen aveva pubblicato con Jean Drèze un nuovo libro su Un’incerta gloria: l’India e le sue contraddizioni , tornando sul tema prediletto di un’economia incurante della qualità e soprattutto della condizione dei più poveri e delle donne. Nel libro, l’India aveva ancora il secondo posto fra le economie più espansive: ora ha preso il primo. Questa posizione, invidiabile in tempi di crisi che non risparmiano i Brics, rende però più clamorose le contraddizioni. «Restano inadeguati — scrivevano Sen e Drèze — i servizi sociali come la scuola e le cure mediche, e le cose materiali come l’acqua sicura, l’elettricità, il sistema idraulico e fognario, i trasporti, e insomma i servizi sanitari e igienici ». Proprio ieri nel Bengala occidentale, lo Stato di Calcutta in cui Sen è nato, abbiamo assistito a una memorabile manifestazione: 200mila persone, nel distretto di Nadia, hanno formato una catena umana lunga 122 chilometri (un record mondiale, secondo gli entusiasti promotori, il “magistrato del distretto”, l’Unicef qui diretta da Asadur Rahman, e una miriade di gruppi civili) per metter fine alla “Open defecation”. Nel paese più espansivo del pianeta ancora il 48 per cento della popolazione (1 miliardo e 254 mila) defeca e orina a cielo aperto. Il superamento di questo retaggio è un obiettivo universale: il governo Modi l’ha ambiziosamente fissato per il 2020, il governo bengalese addirittura per il 2016. Non si tratta “solo” di costruire tubature idrauliche e fognarie e gabinetti, ma di insegnare e abituare a usarli e manutenerli. Spiega Maria Fernandez, spagnola dell’Unicef: «Costruisci i gabinetti in un villaggio, e può succedere che le persone non lo usino perché la casa è un posto troppo sacro per defecare ». Anche nella catena umana di ieri c’era un impegno solenne da prendere collettivamente: «Non solo userò il gabinetto, ma mi preoccuperò che lo usino tutti i miei famigliari ». Decisivo com’è per l’igiene e la salute (la spaventosa mortalità infantile di diarrea), il tema coinvolge la sicurezza e la dignità, soprattutto delle donne. Se ne parlò da noi quando episodi agghiaccianti di stupri e uccisioni rivelarono che le ragazze vanno a fare i loro bisogni prima della luce del giorno e dopo il tramonto, e che quel tragitto è un’occasione prediletta per gli agguati. Un capitolo peculiare riguarda le mestruazioni: il tabù della comunicazione, l’ignoranza — possono essere contagiose, possono provocare una gravidanza se ci si avvicina ai ragazzi — l’uso di cenci fonti di infezioni. «L’Unicef, il governo locale e le ong hanno cominciato insieme alla gente dei villaggi e degli slum due anni fa a censire le case, una per una. In due anni sono stati costruiti oltre 260 mila gabinetti». Nei villaggi incontriamo bambine e ragazze piene di grazia e intelligenza: nel migliore e più raro dei casi hanno un gabinetto in comune per una dozzina di famiglie. È una specie di miracolo, e sarebbe bello farne a meno. Una gloria meno incerta, e “defecation free”.
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