Il vertice bilaterale Usa-Germania è dominato dalla crisi ucraina, «la prima guerra in casa degli europei, dai tempi dei Balcani ». È un tentativo di presentare a Putin un fronte unito dell’Occidente. Ma le differenze tra le due sponde dell’Atlantico restano. «Non esiste una soluzione militare — insiste la Merkel alla Casa Bianca — noi continuiamo a perseguire la soluzione diplomatica, anche se abbiamo avuto una serie di insuccessi». Obama non la contraddice apertamente, ammette che la soluzione militare ha «poche probabilità». La tesi americana è un’altra. Non si tratta di incoraggiare la guerra, ma di prendere atto che la guerra c’è, e uno dei due combattenti è in difficoltà: l’Ucraina non ce la fa, i ribelli con l’appoggio russo guadagnano terreno, Putin si avvicina al suo obiettivo di staccare un pezzo del paese e trasformarlo in un satellite russo, nonché un corridoio di passaggio verso la Crimea. Armare le forze regolari ucraine serve ad alzare il costo per Putin, a rendergli meno facili in futuro invasioni e annessioni.
La tesi più ottimista, che i diplomatici cercano di accreditare, è che fra Obama e la Merkel ci sia una commedia delle parti, una suddivisione dei ruoli concordata. “Good cop, bad cop”, come nei film polizieschi di Hollywood, quando agli interrogatori si alternano il poliziotto duro e quello che usa le buona maniere. Ma il malumore degli americani è palpabile, quando da Bruxelles arriva la notizia che gli europei rinviano ogni decisione su nuove sanzioni. Più che il gioco delle parti c’è una visione del mondo diversa, e due versioni della storia che si oppongono. «La Guerra fredda fu vinta da noi grazie alla battaglia dei valori, non con le armi », dice la Merkel che da giovane è cresciuta nella Germania est comunista. Gli americani, sia democratici che repubblicani, non sono d’accordo: per loro la guerra fredda fu vinta da una combinazione di soft power e hard power, egemonia culturale, certo, ma anche uno sforzo di armamento che portò l’Urss al collasso.
Su Obama qui in America si esercitano pressioni da più parti. I repubblicani maggioritari al Congresso vogliono armare l’Ucraina. I vertici del Pentagono pure. Perfino il segretario di Stato John Kerry è passato al “partito delle armi”. La ragione la illustra il senatore repubblicano John McCain, una delle voci più autorevoli in politica estera: «Putin dà i carri armati ai ribelli che lui sostiene; noi diamo all’Ucraina aiuti logistici e umanitari, le coperte. Le coperte servono poco contro i carri armati».
Obama constata che gli stessi europei, quando parlano di Putin, mostrano una diffidenza estrema. A proposito del vertice che tedeschi e francesi tentano di organizzare domani a Minsk, la Casa Bianca ha colto lo scettici- smo del ministro della Difesa tedesco che ne parla come di un summit «in forse, sperabilmente possibile». Mentre Putin si è affrettato a «respingere ogni ultimatum », come a dire che lo stesso summit di Minsk, se avverrà, non sarà una scadenza decisiva. Vista da Washington questa è una crisi in cui gli europei non si fanno illusioni, eppure preferiscono i rinvii per ragioni d’interesse: le sanzioni costano, la perdita del mercato russo è un colpo duro in una fase già depressa per l’economia europea. Fa eccezione, talvolta, l’Inghilterra, il cui ministro degli Esteri ammette: «Basta con le parole, ci vogliono azioni sul terreno». Le azioni, come sempre, se ci saranno verranno dall’America per prima. Se dovesse fallire Minsk, se l’iniziativa diplomatica franco-tedesca sarà un flop, se Putin continuerà a guadagnare tempo e territorio, alla fine Obama si deciderà a inviare armi. Niente a che vedere con gli allarmi sulla terza guerra mondiale: il presidente ha sempre escluso un conflitto diretto Usa-Russia, per la semplice ragione che l’Ucraina non fa parte della Nato. Tocca agli ucraini difendersi, ma per evitare che torni in auge la “teoria del domino”, per impedire che dopo la Crimea e l’Ucraina orientale gli appetiti di Putin si volgano ai membri della Nato come i paesi Baltici, gli americani si deciderebbero ad aiutare gli ucraini a difendersi da soli.
La visita a Washington conferma che la cancelliera tedesca s’inserisce nella tradizione più distante dagli Stati Uniti, dalla fine della seconda guerra mondiale. Una caratteristica che distingueva i socialdemocratici, non i democristiani. Konrad Adenauer e Helmut Kohl furono alleati molto più omogenei agli Usa, mentre è con Willy Brandt e Gerhard Schroeder che ci furono gli screzi più gravi. La Merkel ha accumulato un insieme d’incomprensioni e divergenze che va dall’austerity all’Ucraina, dalla politica estera alla crisi greca.